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Le difficoltà del sistema bancario italiano non dipendono da un’azione di vigilanza lenta o disattenta ma dalla peggiore crisi economica nella storia della nostra nazione. Gli interventi di vigilanza sono stati continui e pressanti, hanno individuato le situazioni più problematiche, contribuito a risolvere numerosi casi di dissesto. Come ho ripetutamente osservato, dato il profondo deterioramento del sistema produttivo i gravi episodi di mala gestio hanno contribuito a far degenerare la situazione, già difficile, di singole banche. La gestione delle situazioni problematiche e delle crisi conclamate è stata condotta in un quadro regolamentare che è andato drasticamente mutando sul fronte normativo, della vigilanza, delle regole sugli aiuti di Stato, della risoluzione delle banche.

Nello stesso tempo, le condizioni macroeconomiche e l’evoluzione della tecnologia rendevano arduo cedere sul mercato le banche in crisi. Dopo i massicci interventi effettuati con fondi pubblici in più paesi – ma non in Italia – per sostenere sistemi bancari colpiti dalla crisi finanziaria globale, la revisione del quadro normativo e regolamentare europeo ha fortemente limitato la possibilità di interventi pubblici di sostegno. Nel nuovo quadro la risposta alle gravi difficoltà in cui si sono trovati diversi intermediari dopo l’esplosione della crisi del debito sovrano nel 2010 non è stata sufficientemente rapida ed efficace.

Da qui la considerazione avanzata da diverse parti – anche dalla Banca d’Italia, senza per questo trascurare di rilevare problemi, rischi e inefficienze e proporre interventi correttivi – di un sistema bancario solido nel suo complesso, non certo in ogni sua singola componente. Le sfide, come è evidente, non mancano e molti problemi attendono ancora di essere affrontati e risolti, in un contesto che resta ancora in forte evoluzione sia sul piano regolamentare sia, soprattutto, su quello tecnologico. Ma il settore bancario italiano è oggi in recupero, e vi è crescente consapevolezza della direzione da intraprendere per uscire definitivamente dalle difficoltà dell’ultimo decennio.  Sono stati dissipati i timori sulla tenuta del sistema bancario italiano. Rimangono alcune debolezze che richiedono innanzitutto stabilità e fiducia.

I progressi finora conseguiti dal sistema bancario italiano sono significativi, ma rimangono aree di vulnerabilità, soprattutto, anche se non solo, tra gli intermediari di minore dimensione. Gli interventi sulla governance varati negli anni più recenti – da noi a lungo auspicati e rallentati dalle resistenze opposte, non solo dalle banche – hanno rappresentato un passo fondamentale per il rafforzamento del sistema creditizio. La riforma delle banche popolari, di cui è stata recentemente confermata la costituzionalità, ha rimosso vincoli alla raccolta di capitali, ponendo le condizioni per il rafforzamento degli intermediari. Per le Bcc la riforma del 2016 presenta tratti fortemente innovativi anche nel confronto con gli altri paesi europei e va ora attuata nella sua interezza. La nascita dei gruppi bancari cooperativi sarà essenziale per consentire alle Bcc di superare gli svantaggi della piccola dimensione e continuare a sostenere l’economia locale, preservando i valori della cooperazione e della mutualità.

La sfida, in prospettiva la più importante, è quella della tecnologia. La digitalizzazione, che già ha interessato ampi settori dell’economia, si sta espandendo all’industria finanziaria e ad attività svolte finora esclusivamente dalle banche. Le nuove tecnologie abbattono drasticamente i costi della trasmissione, elaborazione e archiviazione delle informazioni. Non è quindi sorprendente che la diffusione delle nuove tecnologie digitali si associ a forti spinte verso la disintermediazione delle transazioni finanziarie e offra un vantaggio competitivo a chi è in una migliore posizione per gestire le informazioni. Intere filiere all’interno dell’industria finanziaria, dai servizi di pagamento alla negoziazione di titoli, sono già interessate in modo significativo dalla digitalizzazione. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Cina anche nel mercato del credito sta crescendo rapidamente la quota di mercato di soggetti non bancari che operano attraverso piattaforme digitali

Nel dibattito europeo non abbiamo mai messo in discussione la necessità di ridurre la consistenza di prestiti deteriorati. Abbiamo tuttavia sottolineato la questione della velocità con la quale procedere in questa direzione: costringere gli intermediari a cedere queste attività troppo in fretta e a prezzi troppo bassi, “di liquidazione”, potrebbe rappresentare una fonte di instabilità e darebbe luogo a un indesiderato trasferimento di valore dalle banche agli acquirenti22. Non vi è dubbio che quello dei crediti deteriorati sia un problema di rilievo, ma va valutato nelle sue giuste proporzioni. Alcuni inspiegabilmente faticano a riconoscere che ai fini della quantificazione del rischio occorre fare riferimento alla consistenza dei prestiti deteriorati al netto, e non al lordo, delle rettifiche di valore. Inoltre, le possibili conseguenze negative dell’elevata consistenza di crediti deteriorarti vanno analizzate in profondità: la tesi secondo cui essa limiterebbe la capacità delle banche di erogare credito, inceppando così il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, anche se è accettata da molti, non sembra avere solide basi empiriche.

 

Ignazio Visco

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Di Ignazio Visco

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