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Alla vigilia delle votazioni, quando dietro all’ottimismo d’ufficio del centrodestra serpeggiava il timore che da sinistra potessero arrivare in chiave antiberlusconiana aiuti decisivi al candidato grillino, in senso inverso alle elezioni comunali dell’anno scorso a Roma e a Torino, dove gli elettori di destra in chiave antirenziana avevano aiutato le candidate di Grillo a prevalere nei ballottaggi sui concorrenti piddini, l’ex ministro della Difesa anticipò la buona notizia. Egli disse in una intervista a Paola Sacchi che dei dieci punti di vantaggio accumulati nei sondaggi d’ottobre sul pentastellato Giancarlo Cancelleri, al massimo Musumeci ne avrebbe potuti perdere cinque, conservandone quindi altrettanti. E così è avvenuto: 39,8 per cento dei voti al neo governatore del centrodestra e 34,7 al mancato governatore a 5 stelle.

Tuttavia i voti passati da uno schieramento all’altro nel segreto dell’urna, grazie alla possibilità concessa dalla legge elettorale siciliana di scegliere il candidato a presidente di una parte e il candidato a consigliere regionale di un’altra, sono stati superiori allo scarto fra Musumeci e Cancelleri, se quest’ultimo ha preso non cinque ma otto punti percentuali in più della lista del suo partito.

Ciò significa che, prevalendo di cinque punti sull’antagonista grillino, anche Musumeci ha potuto contare su un aiuto, diciamo così, esterno. Che, non potendo essergli certamente arrivato dai grillini, i quali considerano il nuovo governatore “immondo” per i cosiddetti “impresentabili” nelle liste di fiancheggiamento, può essere arrivato solo da sinistra. Dove gli elettori, prigionieri della posizione di fuori gioco procuratasi dai loro partiti con le solite lotte tribali, si sono divisi a loro volta sulla scelta di quello che potremmo definire il male minore. E che potremmo riassumere in questa domanda: far prevalere l’antiberlusconismo, favorendo il candidato grillino, o l’antigrillismo soccorrendo il candidato non importa se più scelto o più subìto da Berlusconi ?

Questi giochi normalmente si svolgono dietro le quinte. Si preparano e si fanno al coperto, sotto traccia. Ma la Sicilia è una terra particolare anche nel bene, oltre che nel male. E così deve essere forse ringraziato l’ex ministro Salvatore Cardinale (nella foto), di provenienza democristiana, per la trasparenza con la quale ha realizzato quello che aveva promesso aderendo al cartello del candidato renziano Fabrizio Micari e poi avvertendo, una volta emersa l’impossibilità dell’elezione del rettore dell’Università di Palermo, che mai avrebbe sposato la logica perversa del “tanto peggio tanto meglio”.

Il peggio sarebbe stato un sostegno al candidato grillino. Il meglio sarebbe stato, anzi deve essere stato agli occhi di Cardinale un aiutino a Musumeci. I cui cinque punti di vantaggio conservati su Cancelleri sono vicini ai 6 punti percentuali raccolti, nello schieramento di Micari, dalla lista di Cardinale chiamata “Sicilia futura”. Ed equivalgono -guarda caso- al quasi 6 per cento di scarto registrato tra i voti mancati a Micari e quelli raccolti complessivamente dalle liste fiancheggiatrici.

Il buon senso lascia a questo punto prevedere una mano di Cardinale a Musumeci anche nell’amministrazione dell’isola, non avendo il centrodestra l’autosufficienza nel Consiglio regionale. Dove tornerà probabilmente a prevalere il no dell’ex ministro al tanto peggio tanto meglio. La Sicilia -la mia Sicilia, direbbe Cardinale- va pur governata: con i fatti, non con le parole dei grillini, e neppure con i vespri siciliani di una sinistra tanto divisa quanto appesa ormai al vuoto.

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