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Le relazioni fra Italia e Francia sono sempre state complesse sin dal Risorgimento. Per l’Italia la Francia ha sempre rappresentato un modello/rivale, mentre la Francia considerava spesso l’Italia come una “sorella latina”, espressione veloce e a volte condiscendete. Piu recentemente, il periodo dal 2011 fino a oggi ha visto una serie di incomprensioni e opposizioni guastare la cooperazione fra i due membri fondatori dell’Unione Europea e membri dell’Alleanza Atlantica.

Dalle divergenze a proposito della Libia, fino alla difficile questione degli investimenti diretti francesi in Italia (Edison, Lactalis, Telecom Italia) e italiani in Francia (Suez, Stx) abbiamo assistito spesso a una serie di crisi che hanno avvelenato le relazioni fra i due Paesi. Infine, il problema degli sbarchi e della pressione migratoria subita dall’Italia ha anche alimentato il malcontento nei confronti di Parigi, puntata dal dito per il disfacimento della Libia e la mancanza di solidarietà europea nella ripartizione dei migranti. Il mese di luglio scorso ha visto un concentrarsi di vicende negative che ha determinato un momento di crisi fra i due Paesi, cancellando, da un punto di vista italiano, lo slancio europeista rappresentato dall’elezione di Emmanuel Macron.

Il vertice bilaterale di fine settembre aveva placato le anime, offrendo anche una soluzione all’imbroglio della ripresa dei cantieri STX da parte di Fincantieri. Piu recentemente, la decisione italiana di partecipare allo sforzo di stabilizzazione del G5 Sahel con l’invio di una missione militare in Niger ha rappresentato un nuovo tassello molto importante. È stata una decisione presa per una serie di motivi, primo dei quali la volontà italiana di stabilizzare ulteriormente la zona a sud della Libia in un’ottica di controllo e regolazione dei flussi migratori. Di fatto, si congiunge con la visione e il dispositivo francese di stabilizzazione dell’intera area e di contrasto al terrorismo. Ciò segna dunque un riavvicinamento dell’azione militare fra francesi e italiani, con una convergenza politica che non si notava dal comune intervento in Libano nel 2006.

Come dimostrano i commenti di Paolo Gentiloni ed Emmanuel Macron durante la conferenza stampa del vertice di gennaio, è stata una mossa molto apprezzata da Parigi, che da sempre chiedeva aiuto ai vari partner europei, un aiuto che ad esempio la Germania sta fornendo con un robusto dispositivo in Mali. Al di là di questa nuova convergenza, la dichiarazione relativa un nuovo trattato bilaterale, battezzato “Trattato del Quirinale”, rappresenta un passo ulteriore di potenziale collaborazione. L’idea, annunciata in conclusione del vertice bilaterale di Lione a settembre, è stata ripresa e ulteriormente sviluppata, dando consistenza al progetto, con la nomina di una commissione di esperti in via di costituzione. Paolo Gentiloni ha ribadito durante le sue recenti dichiarazioni, come fece da ministro degli esteri, che guardava con invidia il funzionamento del trattato franco-tedesco dell’Eliseo, firmato nel 1963, e che prevede scambi organici di funzionari, ma anche organizzazione di consigli di ministri bilaterali comuni.

Il Trattato dell’Eliseo ha creato una prassi di comunicazione e di co-decisione virtuosa fra Francia e Germania che permette di assicurare una buona dose di convergenze fra i due pPaesi, al di là delle opzioni politiche dei propri governi. La progettazione di un Trattato del Quirinale, che si inserisca sulla falsariga di quello dell’Eliseo, apre un nuovo ciclo politico fra Italia e Francia. Di conseguenza si pone anche la questione dei contenuti, che possono includere capitoli sulla politica europea di difesa e sull’immigrazione, argomenti molto sensibili. Ma soprattutto, conta il meccanismo che stabilisce formalmente l’Italia come partner della Francia al pari della Germania, con lo stabilirsi di incontri governativi e ministeriali congiunti e di scambi di funzionari.

Sembra un dettaglio, ma immaginare che funzionari italiani, distaccati ad esempio al ministero delle Finanze francese, vadano poi a Bruxelles per difendere le posizioni parigine per negoziati sulla politica economica e monetaria – come avviene oggi fra Parigi e Berlino – rappresenta un’evoluzione notevole delle prassi di cooperazione. Questo trattato potrebbe anche rompere la percezione di isolamento italiano nei confronti del motore franco-tedesco, e quindi di fatto creare un’ulteriore fattore di convergenza e di accelerazione europea, un’operazione importante sapendo che, appena il governo tedesco sarà insediato, ci sarà un’ulteriore accelerazione fra Francia e Germania. E chiaramente, nell’ambito della relazione trilaterale Francia-Germania-Italia, il trattato del Quirinale rafforza il ruolo di perno della Francia, e quindi la sua leadership europea. Ma questo potrebbe rappresentare un non-problema, in quanto la Germania si trova a disagio quando deve esercitare una leadership e nulla vieta che ulteriori meccanismi approfondiscano la cooperazione italo-tedesca. Infine, questo passo potrebbe creare una dinamica europea di beneficio comune, un gioco cooperativo a somma non nulla, nel quale ognuno trova anche un tornaconto tramite un aumento dell’integrazione e una gestione comune delle problematiche globali.

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