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In questo momento di palpitazione per le sorti del Medio Oriente e di decisione pregne di conseguenze da parte americana per la regione, il presidente Donald Trump ha bisogno di tutto il sostegno possibile da parte degli alleati. Per questo motivo, negli ultimi giorni il capo della Casa Bianca ha intensificato i colloqui con i paesi del Golfo, partner indispensabili nella lotta al terrorismo nonché nel confronto con l’Iran per l’egemonia nell’area.

Ma la collaborazione con i paesi del Golfo è compromessa dalla interminabile disputa tra il Qatar da una parte ed Arabia Saudita, Emirati Uniti, Bahrein ed Egitto dall’altra. Questi ultimi il giugno scorso hanno imposto la chiusura di tutti i rapporti diplomatici accompagnata da un embargo nei confronti del Qatar, accusandolo di rapporti obliqui con le formazioni radicali e di nutrire relazioni amichevoli con Teheran. Lussi che il Qatar non si potrebbe permettere in una fase come questa in cui l’America, di concerto con i suoi alleati, ha imposto un’agenda di lotta serrata contro il terrorismo jihadista e l’espansionismo iraniano.

Ma per Trump si tratta ormai di acqua passata. Per questo motivo, ora vuole che le relazioni tra i paesi del Golfo ritornino alla normalità, e che il Qatar sia pienamente reintegrato nella struttura del Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’organismo di collaborazione regionale che unisce i paesi dell’area. Questa sua volontà, Trump l’ha comunicata in questi giorni telefonicamente al re saudita Salman, sempre via telefono al principe di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed e in un incontro lunedì alla Casa Bianca con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamid al-Thani.

Come riferiscono a Reuters dei membri del governo informati di queste dinamiche, Trump è stato particolarmente incalzante con il re saudita. La trascrizione della telefonata fornita dalla Casa Bianca dice che il presidente “ha enfatizzato l’importanza di risolvere la disputa del Golfo e di ripristinare un unito Consiglio di Cooperazione del Golfo per contrastare la maligna influenza dell’Iran e sconfiggere terroristi ed estremisti”.

La spiegazione di questa insistenza è semplice, secondo i funzionari governativi sentiti da Reuters: come spiega uno di loro, “il focus del presidente è sempre stato sull’Iran, e i programmi nucleari e missilistici che minacciano tutti gli Stati del Golfo, e Israele, e ha enfatizzato che il litigio che i sauditi e gli emiratini stanno avendo con Qatar non ha alcun senso”.

C’è l’ombra dell’Iran, dunque, dietro la chiamata di Trump ai paesi del Golfo. L’unità tra Stati Uniti e paesi arabi è indispensabile in un momento in cui i primi si accingono a sfidare Teheran su tutti i fronti, tanto nel conflitto in Siria quanto nella delicata partita dell’accordo sul nucleare (Jcpoa).

A tal proposito, sembra che Trump abbia chiesto ai suoi interlocutori arabi di risolvere i loro problemi entro tre settimane. Il 12 maggio infatti è fissata una scadenza campale: Trump dovrà decidere il destino del Jcpoa, ovvero se non rinnovare l’esenzione delle sanzioni concordata al tempo della sigla dell’accordo e introdurne di nuove, tutte eventualità non improbabili se l’Iran non verrà incontro alle richieste americane, ma anche francesi, di tenere una condotta più pacifica in Medio Oriente e di rinunciare al suo programma balistico.

Le probabilità che si arrivi ad uno scontro diretto con Teheran sono ancora più alte ora che Trump ha cooptato nella sua squadra di governo il Segretario di Stato Mike Pompeo e il consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton: due falchi anti-Teheran che hanno criticato sin dal principio il Jcpoa e considerano l’Iran alla stregua del male assoluto.

Date le circostanze, è indispensabile scordarsi il passato e serrare i ranghi. Di qui l’appello di Trump ai dignitari del Golfo: che la smettano con le loro beghe di cortile. Perché ora in Medio Oriente si fa sul serio.

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