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Il presidente americano Donald Trump annuncerà oggi, venerdì 13 ottobre, la sua strategia sull’accordo nucleare iraniano e su quel che fare con la Repubblica islamica (le due questioni sono imprescindibilmente legate). L’amministrazione Trump non certificherà l’accordo, ma non ritirerà gli Stati Uniti dal Nuke Deal. È quella che viene definita la “de-certificazione”. Ai tempi della firma del deal, il Congresso ha imposto un controllo serrato sull’applicazione da parte degli ayatollah: ogni tre mesi il dipartimento di Stato deve certificarne il procedere ai legislatori. Per due volte nel 2017, ad aprile e luglio, Foggy Bottom ha dato il suo semaforo verde, ma stavolta non lo farà.

Così facendo gli Stati Uniti prenderanno una via di mezzo tra l’uscita definitiva e la permanenza all’interno dell’intesa internazionale. Il discorso di Trump, secondo le informazioni dei giornalisti americani che ne hanno letto le anteprime, riguarderà molto poco la questione tecnica della de-certificazione, che di fatto è l’anello debole della strategia, e molto più sulla postura che lui vuol far tenere a Washington nei confronti dell’Iran. Trump mette insieme la questione del deal con l’influenza armata che Teheran vuol giocare nella regione attraverso le milizie sciite settarie disseminate come partiti politici in Iraq, Yemen, Siria, Libano, Afghanistan. Alcuni di questi sono gruppi considerati organizzazioni terroristiche dall’Occidente, come per esempio Hezbollah, il principale vettore della politica estera iraniana in Medio Oriente.

Questo è uno degli aspetti per cui l’Iran viene visto come un attore tossico nel panorama internazionale, una lettura che in molti a Capitol Hill ne fanno (sia tra i repubblicani che tra i democratici più severi). De-certificare potrebbe avere un contraccolpo pratico: espone Teheran ai falchi del Congresso, che potrebbero trovare il modo di far di nuovo passare sanzioni atomiche contro gli iraniani, che hanno già annunciato che nel caso fosse, significherebbe la distruzione definitiva dell’accordo. Trump vorrebbe lasciare spazio a deputati e senatori per costruire “punti di innesco” più severi, ma il rischio è che sfugga la mano.

È per questo che probabilmente nelle prossime settimane l’amministrazione proporrà misure di contenimento ulteriore contro la Repubblica islamica, si parla per esempio di inserire i Guardiani, l’ala militare teocratica, tra i gruppi terroristici, come contentino per tenere a bada le posizioni più dure ed evitare colpi di coda che potrebbero mettere in crisi non solo il rapporto con Teheran, che dalla decisione è definitivamente deteriorato, ma anche quello con gli alleati. Francia, Regno Unito, Germania, Unione Europea, tutti alleati americani membri del meccanismo multilaterale globale che ha chiuso l’intesa con l’Iran, hanno già espresso critiche per la mossa di Trump.

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