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Nel nuovo conflitto che si è aperto tra il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, e la Banca d’Italia non sapremmo a chi dare ragione. Dovremmo come minimo vedere le carte e comunque conoscere le parti della seduta che sono state segretate. Resta, comunque, l’amaro in bocca. Di tutto, in Italia, avevamo bisogno, salvo un nuovo conflitto istituzionale, così duro e spigoloso. Qualunque sia la verità, non ne esce bene la procura sulla quale già piovono le accuse per il ruolo svolto dal magistrato, come assiduo consulente di Palazzo Chigi. Non ne esce bene Banca d’Italia da tempo nel mirino di Matteo Renzi e dei renziani: nemmeno si trattasse del principale partito d’opposizione. Stranezza non di poco conto. Come se il partito di maggioranza relativa, che ha guidato l’intera legislatura, non avesse strumenti più soft per intervenire in una situazione ingarbugliata.

Ciò che colpisce è il deficit istituzionale che si è registrato in tutti questi anni. Quando, con interventi di varia natura, compresa la moral suasion, si poteva cercare di disinnescare una mina, altrimenti destinata a deflagrare. Nessuno ha fatto alcunché. Troppo complicato curarsi di un aspetto indubbiamente tecnico, ma rilevante? La Presidenza del Consiglio non aveva a sua disposizione le necessarie risorse intellettuali? Il Ministero dell’economia non aveva forse i poteri per intervenire, convocando il Comitato per il credito ed il risparmio di cui, guarda caso, fanno parte Banca d’Italia e Consob. Ed il Parlamento, a sua volta, ha esercitato quella vigilanza democratica che è il connotato essenziale delle sue prerogative costituzionali? Sembrerebbe di no. Ciascuno è andato per la sua strada. Chiuso nel miope recinto della propria routine politicista. Lasciando il cerino acceso in mano al Presidente della Repubblica che, quando si trattò di procedere alla conferma di Ignazio Visco, fu costretto a scendere nell’arena politica. E così una crisi (Banca Etruria), tutto sommato, locale si è trasformata in un grande dramma nazionale. Di cui ancora oggi non si colgono le gravi implicazioni di carattere internazionale. Come se il Presidente della Bce, Mario Draghi, che qualcuno vorrebbe travolgere nel polverone generale, non avesse già ben altre gatte da pelare. Con la Bundesbank tedesca che non lascia passare giorno senza attaccare le sue politiche “non convenzionali”.

Un gioco al massacro. Il segno di una crisi che sembra voler stravolgere ogni regola, nella speranza di un piccolo tornaconto elettorale. Forse, alla fine, qualcuno vincerà la partita, ma sarà poi costretto a governare su un cumulo di macerie. Mentre i nostri partner comunitari assistono increduli, domandandosi se ancora vale la pena fare affidamento sul nostro Paese. Il quale pretende, ma poi dimostra la sua totale inadeguatezza. Una slavina che va fermata, prima che produca danni irreversibili. Ed allora ragioniamo sulle cause reali che hanno prodotto questo piccolo grande disastro. C’è da considerare innanzitutto il dato dell’autonomia e dell’indipendenza della Banca d’Italia. Essa è tutelata, più che dai Trattati, dalla sua storia centenaria. Una riserva per l’intera Nazione. Talmente autorevole da essere stata circondata da un’aureola quasi sacrale. Basti pensare al ruolo non solo tecnico di uomini come Guido Carli, Lamberto Dini, Carlo Azeglio Ciampi. Senza voler andare ancora più a ritroso nel tempo. In tutti questi anni Banca d’Italia, con i suoi interventi, è stata la coscienza critica del Paese. A volte anche fastidiosa e quindi soggetta ad attacchi destabilizzanti. Il caso di Mario Sarcinelli e Paolo Baffi.

Ma esiste anche l’articolo 47 della nostra Costituzione. È la “Repubblica” che “incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Esiste in altri termini una funzione che non può essere delegata, ma che investe innanzitutto le prerogative del Parlamento, come organo permanente della sovranità popolare. La Repubblica, appunto. Autonomia, allora, non può essere scambiata per autarchia. Il problema è trovare quelle forme che consentano al tempo stesso di preservare l’indipendenza, e l’esercizio di quei “controlli” che sono esplicitamente richiamati nel testo costituzionale. Da questo punto di vista le inadempienze di Camera e Senato sono state vistose. Fornendo alibi all’inerzia del Governo. Abbiamo commissioni parlamentari che si occupano di aspetti vari della vita politica italiana, ma di un tema così rilevante le tracce sono solo episodiche. Si interviene sul fronte legislativo, quando è necessario, ma per il resto è nebbia fitta. E quando si costituisce una specifica Commissione d’inchiesta, i risultati sono quelli che abbiamo visto.

Si potrebbe replicare che esistono ben due commissioni permanenti – la VI sia alla Camera che al Senato – ma basta guardare ai resoconti parlamentari. Il loro interesse prevalente è relativo ai temi fiscali. Aspetto importante ed assorbente, ma per il resto è poca cosa. Sintomo di una spoliazione che fa da pendant a quel malinteso senso dell’autonomia riconosciuto alla Banca centrale. La quale, anche nell’esercizio dei suoi poteri, incontra i limiti ed i vincoli posti dalla politica nazionale. Si pensi al grave problema dei non performing loans: quelle sofferenze che pesano, come un macigno, sui bilanci delle banche italiane. Ebbene in larga misura esse sono state il prodotto delle politiche fiscali del Governo Monti. L’eccessivo prelievo sugli immobili ha determinato fallimenti a catena in tutto l’indotto delle costruzioni. Il crollo nei prezzi di mercato degli immobili, a loro volta, ha dimezzato il valore delle garanzie offerte al sistema creditizio, quale contropartita dei mutui contratti. Con effetti conseguenti sul sistema bancario. Dove ricercare le colpe? Soprattutto il luogo di sintesi, in cui contemperare i vari aspetti della politica economica, se non nel continuum del rapporto Parlamento – Governo?

La Banca d’Italia avrà pure mancato nell’esercizio della Vigilanza microprudenziale. Ma se piove e mi bagno perché il mio ombrello è bucato. Con chi me la prendo? Con il parapioggia che ripara poco o con il temporale?

crisi

Il corto circuito istituzionale sulle crisi bancarie

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