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Luigi Di Maio e la guerra ai sindacati. Così titolano i giornali da un paio di giorni. In realtà la guerra non l’ha dichiarata il candidato premier grillino: a farlo sono stati gli elettori del M5S qualche mese fa, votando le proposte di programma sulla piattaforma Rousseau, nel complesso decisamente bellicose nei confronti di Cgil, Cisl e Uil. Di Maio, in questo senso, sta semplicemente agendo da portavoce della base grillina, che vorrebbe rivoltare come un calzino il mondo sindacale.

COSA HA DETTO DI MAIO

Il neo candidato premier del M5S, ospite del Festival del lavoro di Torino, ha rilasciato alcune dichiarazioni dal tono vagamente minaccioso. “I sindacati si autoriformino oppure ci penseremo noi – ha detto il leader grillino – Se il Paese vuole essere competitivo, le organizzazioni sindacali devono cambiare radicalmente. Dobbiamo dare possibilità alle associazioni giovanili di contare nei tavoli di contrattazione, serve più ricambio nelle organizzazioni sindacali”.
Parole che hanno scatenato una reazione veemente da parte di Susanna Camusso delle Cgil, che ha definito “autoritario e insopportabile” il linguaggio di Di Maio, ha paragonato il grillino a Matteo Renzi (un altro non certo amatissimo dal mondo sindacale), e gli ha dato dell’ignorante e dell’ “analfabeta Costituzionale”. “Di Maio dice cose che non sa – ha replicato Camusso – Non sa come è fatto un sindacato, non sa che non è un’organizzazione statuale di cui decidi le modalità organizzative, è una libera associazione. Non sa che il sindacato cambia in continuazione, perché a differenza di altri soggetti, è radicato nei luoghi di lavoro ed è composto da decine di migliaia di militanti”.

LE PROPOSTE DI PROGRAMMA DEL M5S

In realtà, al netto dei toni minacciosi, Di Maio si è limitato a riportare le posizioni che i suoi elettori avevano definito nel programma votato online la scorsa primavera. Un programma in cui è evidente l’atteggiamento critico nei confronti del sindacato, per lo meno di quello confederale.
In fase di “discussione” uno degli esperti ospitati dal blog di Beppe Grillo era stato Giorgio Cremaschi, ex dirigente Fiom-Cgil, poi fuoriuscito in polemica. La principale proposta grillina, votata a larghissima maggioranza dagli iscritti al blog (23.283 sì a fronte di 767 no), puntava proprio a “picconare” il potere delle tre sigle principali, Cgil, Cisl e Uil. Cremaschi suggeriva di “garantire che in tutti i luoghi di lavoro sopra i 15 dipendenti i lavoratori possano eleggere delle rappresentanze sindacali come previsto dallo Statuto dei lavoratori, e che tutti siano elettori ed eleggibili, che con minime regole tutti possano partecipare con liste delle organizzazioni sindacali tradizionali, o con liste delle organizzazioni sindacali nuove, o con liste delle organizzazioni sindacali di base, o con liste di lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. Che tutti possano partecipare alle elezioni, e poi siano i lavoratori stessi a decidere chi li rappresenta nei luoghi di lavoro”. Intenti che, se tradotti in pratica, farebbero crollare i privilegi di “sindacati accreditati” delle principali sigle.

STOP AI “PRIVILEGI” SINDACALI

E non è finita. Gli attivisti hanno votato anche lo stop “ai sindacalisti carrieristi della politica e nei consigli di amministrazione delle aziende”. I grillini hanno anche dichiarato guerra ai “bilanci opachi senza obblighi di trasparenza” da parte dei sindacati, e ai finanziamenti pubblici e alle quote di servizio dei contratti e degli enti bilaterali”. E ancora: un freno al rinnovo automatico delle tessere degli iscritti, ai distacchi retribuiti “se non legati all’effettiva rappresentanza nei luoghi di lavoro” e anche all’esercizio di Caf e Patronati “senza alcun reale controllo pubblico”.
Nel complesso, un insieme di misure che porterebbero, assieme alla riforma del sistema, a un significativo ridimensionamento delle casse di Cgil, Cisl e Uil.

Luigi Di Maio, Silvia Virgulti

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