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Dieci anni non sono bastati. Per cinque grandi banche europee la terribile crisi finanziaria che ha rischiato di far implodere il sistema bancario mondiale non è ancora dietro le spalle. Le scorie della crisi del 2007 sono ancora lì, depositate come una nube radioattiva nei loro bilanci. Sono i famigerati Cdo, gli Abs, i mutui subprime cartolarizzati e le altre diavolerie della turbo-finanza speculativa che non sono stati del tutto metabolizzati e “valgono” tuttora per 5 colossi bancari la cifra di 549 miliardi di dollari.

Le banche in questione che Moody’s ha messo nel mirino, segnalandole in un report, sono nomi blasonati della finanza europea. Si tratta delle due britanniche Royal Bank of Scotland e Barclays; dei due colossi svizzeri dell’investment banking Credit Suisse e Ubs e della tedesca Deutsche Bank. Sono gli istituti su cui, secondo le valutazioni dell’agenzia Usa i cosiddetti legacy asset, i residui illiquidi e tossici dell’era travagliata dei subprime e dei derivati, pesano ancora in modo significativo. Nei bilanci dei 5 colossi sono infatti ancora contabilizzati, a dieci anni dall’avvio della crisi, ben 549 miliardi di dollari di asset illiquidi parcheggiati in attesa di uno smaltimento che è in buona parte avvenuto, ma che conserva questa pesante coda velenosa. La parte del Leone la fanno i due big inglesi: Barclays ha in pancia tuttora 303 miliardi di spazzatura finanziaria, ben il 20% del suo attivo di bilancio. Rbs ne vanta per 133 miliardi. Seguono le due svizzere Ubs e Credit Suisse con un ammontare di 57 e 56 miliardi di dollari, rispettivamente. In una posizione di maggior tranquillità sta Deutsche Bank che ha venduto molto e ha un residuo di soli 5,8 miliardi.

Pur segregati e in attesa di trovare un compratore i titoli tossici pongono più di un problema. Non solo tengono immobilizzato più capitale del necessario, ma sono continue fonti di perdite per gli istituti che finiscono anno su anno per svalutare parte del loro valore che resta in realtà fittizio, data la scarsissima liquidità dei mercati di titoli di quella natura. Tanto per dare un’idea le divisioni non core di queste 5 banche, dove sono parcheggiati i titoli tossici, hanno comportato perdite cumulate per 3 miliardi di dollari solo nel primo semstre del 2017. Nell’arco degli ultimi 12 mesi la massa di perdite derivante dalla cessione degli asset illiquidi è stata di 10 miliardi solo per le due britanniche e per il Credit Suisse. E se si sommano, come ha fatto Moody’s, le perdite aggregate dei 5 big bancari dal 2011 la cifra sale alla bellezza di 132 miliardi. È il fardello pesante dell’eredità gravosa della crisi. Certo le cose sono migliorate nel corso degli anni. Ubs ha ridotto dal 2012 il volume dei suoi asset tossici dal 35% del suo attivo complessivo di bilancio a poco più del 5% attuale. E anche Barclays e Rbs hanno smaltito parecchio. Basti pensare che nel 2012 il livello di Abs, Cdo, mutui a rischio era doppio rispetto ai livelli attuali. Un’opera di pulizia che ha comportato però costi elevatissimi in fatto di perdite come si è visto.

Tanto per dare un’idea Royal Bank of Scotland, nazionalizzata dal Governo inglese ha cumulato perdite per 50 miliardi di sterline dal 2008 al 2016, non chiudendo mai un bilancio in utile da allora. Le svalutazioni degli asset tossici hanno contribuito al buco. Barclays ha visto precipitare i suoi profitti da 9 miliardi del 2009 a soli 76 milioni del 2014. Anche qui hanno pesato in parte gli accantonamenti sugli asset malati. Credit Suisse ha cumulato solo nel biennio 2015-2016 oltre 5 miliardi di franchi svizzeri di perdite nette. Quelle scorie del 2007 hanno pesato eccome sulla redditività perduta delle cinque banche.

Articolo tratto dal sito del Sole 24 Ore

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