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Quasi come da copione. Nelle Marche ha stravinto il centro destra. La sinistra ne esce sconfitta e il Centro in quella coalizione non è pervenuto. Nella Calabria peggio ancora. Il Centro non tira come nelle Marche e anche qui la coalizione progressista ne esce con le ossa rotte. Schlein, la segretaria del Pd, la risposta l’ha già fornita nei giorni scorsi. Da un lato, smentendo la propaganda di un anno, sostenendo che per il Pd il voto in una regione non è affatto un test nazionale. Per l’altro verso, conta il voto nelle regioni più popolose. Cioè, per i non addetti ai lavori, conta dove il Pd vince anche da solo per l’antico e robusto radicamento comunista e di sinistra da ormai svariati decenni – penso alla Toscana – oppure anche e soprattutto per l’insipienza e l’irresponsabilità del comportamento politico del centro destra. E cioè, la Campania e la Puglia.

Ora, però, e al di là della propaganda spicciola, c’è un aspetto politico che non può e non deve passare inosservato. Ed è quello dibattuto su molti organi di informazione dopo le imponenti manifestazioni di piazza organizzate dai sindacati e dai movimenti riconducibili alla sinistra. Seppur nella sua multiforme espressione. E cioè, ma esiste qualche correlazione tra il concreto voto dei cittadini italiani – adesso nelle singole regioni anche se non si può ridurre il tutto a un bieco fatto localistico e quindi del tutto marginale e periferico – e le manifestazioni di piazza? Certo, è un tema a cui non si può rispondere qualunquisticamente con un Sì o con un No. Perché, e sempre al di là dell’ipocrisia e delle varie menzogne in circolazione, si tratta di manifestazioni che sono state organizzate prevalentemente, se non quasi esclusivamente, contro il governo Meloni e la coalizione di centrodestra. Va pur detto – come giustamente ha richiamato il presidente del Censis Giuseppe De Rita – che si tratta di manifestazioni prive di immediata mediazione politica ed istituzionale e che difficilmente si possono classificare con categorie politiche nette e definitive. Tuttavia, se non dovesse più esistere alcuna correlazione significativa di carattere politico, si corre il serio rischio di una radicale dissociazione tra la cosiddetta politica istituzionale e la tanto decantata e sempre verde, nonché contraddittoria, società civile. Quello che un tempo, negli anni ‘70 ed ‘80, si chiamava più semplicemente come il distacco tra il “Paese legale” e il “Paese reale”.

Ed è proprio su questo versante, però, che non si può non fare una riflessione politica più legata alle vicende contingenti. Detto con parole molto semplici, com’è possibile che il grande martellamento propagandistico, mediatico, giornalistico e politico accompagnato da massicce mobilitazioni di piazza tutte riconducibili alla sinistra e accomunate da un odio implacabile e spregiudicato contro il centro destra – almeno stando alle parole d’ordine, agli striscioni, ai manifesti, ai cori e agli insulti pronunciati durante i vari cortei nelle piazze italiane – poi, e puntualmente, non si trasformi in un incremento dei consensi elettorali a quei partiti che sono in prima linea durante quelle manifestazioni? Qualcuno dice che si tratta di effetti che si faranno sentire nel tempo. Molto, ma molto più avanti nel tempo. Può darsi. Ma, nel frattempo, essendo in una società sempre più fluida e decodificata, può anche darsi che il tempo cancelli rapidamente un’emozione per sostituirla con un’altra e un’altra ancora. Senza modificare, almeno per il momento, un equilibrio politico che da ormai molti anni è sostanzialmente statico.

Ecco perché, al di là dell’antico e sempre moderno slogan “piazze piene e urne vuote”di nenniana memoria, forse è arrivato anche il momento per interrogarci – tutti, nessuno escluso – sull’intreccio e il legame, se ancora esiste, tra la piazza e le istituzioni. Tra la protesta e i partiti. E, soprattutto, tra l’umore di segmenti consistenti della pubblica opinione e il relativo comportamento politico ed elettorale dei medesimi segmenti.

Piazze piene, urne vuote. Perché ha ancora ragione Nenni secondo Merlo

Al di là dell’antico e sempre moderno slogan “piazze piene e urne vuote”di nenniana memoria, forse è arrivato anche il momento per interrogarci – tutti, nessuno escluso – sull’intreccio e il legame, se ancora esiste, tra la piazza e le istituzioni. Tra la protesta e i partiti. E, soprattutto, tra l’umore di segmenti consistenti della pubblica opinione e il relativo comportamento politico ed elettorale dei medesimi segmenti. La riflessione di Giorgio Merlo

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