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Come molti ricordano, il 24 novembre 2015 un aereo militare russo è stato abbattuto sulla frontiera siriana da un caccia turco. In un primo momento, sembrava trattarsi di un errore. Ma, di fronte al rifiuto da parte presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, di porgere delle scuse ufficiali, il suo omologo russo, Vladimir Putin, ha reagito parlando di “una coltellata alla schiena”. Finita la luna di miele tra i due Paesi, la Russia ha reintrodotto i visti per i cittadini turchi e ha cancellato i voli charter dalla Russia raccomandando ai turisti di evitare di recarsi nel Paese, prima dell’incidente la più popolare destinazione estera per i russi.

Sono stati anche sospesi alcuni rapporti economici, come l’importazione di verdura dalla Turchia (che gioiva del regime di sanzioni tra Mosca e l’Unione europea). Era inoltre a rischio appena annunciato (il 1° dicembre 2014) il progetto TurkStream, il gasdotto che avrebbe portato il gas russo in Turchia attraverso il mar Nero, ma in realtà non sono stati mai interrotti i flussi di gas da Mosca ad Ankara, tramite il già esistente Blu Stream (un progetto simile di Eni e Gazprom). La Turchia ha perso così molti soldi, per lo più nel settore del turismo, ma anche l’interscambio commerciale tra i due Paesi è crollato del 30%.

Nel giugno del 2016, tuttavia, Erdogan ha scritto una lettera a Putin chiedendo di risolvere la crisi dei rapporti tra i due Paesi, provocata dall’abbattimento del velivolo militare russo; inizia così un periodo di miglioramento nelle relazioni. Nel luglio dello stesso anno, dopo un tentativo di golpe militare in Turchia, per il quale Erdogan ha accusato l’imam esiliato negli Stati Uniti, Fethullah Gulen e indirettamente gli stessi Usa, i rapporti con la Russia migliorano ancora, mentre si deteriorano quelli con gli Stati Uniti. Qualche giornale scrive che i russi hanno “salvato” Erdogan, avvisandolo in tempo del colpo di Stato pianificato, senza incontrare né conferme né smentite. Erdogan, finalmente, chiede scusa, e viene ricevuto da Putin in Russia, mentre gli operatori russi riprendono finalmente a vendere tour e a mandare i voli charter in Turchia. L’omicidio dell’ambasciatore russo in Turchia Andrey Karlov, tuttavia, mette di nuovo a dura prova i rapporti bilaterali. In questo caso, però, Erdogan si scusa subito, invia le proprie condoglianze e cerca di evitare ogni tipo di escalation nei rapporti.

A novembre 2017, quindi, Putin ha potuto dichiarare che “i rapporti con la Turchia si possono considerare completamente ripristinati” e ha ricordato che nel 2017 l’interscambio è cresciuto del 38%, dopo un crollo del 30% nel 2016. Sulla guerra in Siria, i due Paesi avevano diverse divergenze, ma anche queste sono state risolte positivamente. È stata innanzitutto istituita una commissione russo-turca che controlla il regime del cessate il fuoco ed è stato firmato un memorandum per garantire la sicurezza dei voli militari di entrambi i Paesi.

Il 18 gennaio 2017 le forze militari russe, per la prima volta nella storia, hanno iniziato a colpire gruppi terroristici in Siria in collaborazione con l’Air Force della Turchia. “La collaborazione fra i due Paesi ha avuto effetti positivi per la Siria, in particolare nel raggiungimento di una soluzione politica stabile”, riferisce una nota del Cremlino alla fine del dicembre 2017. I colloqui intra-siriani di Astana, cui partecipano Russia, Iran, Turchia e Siria, risultano essere un strumento molto utile di dialogo.

I russi sperano che si possa organizzare a Sochi un incontro per favorire il dialogo nazionale siriano, al quale coinvolgere tutte le parti. Le due parti sono d’accordo persino sulla controversa dichiarazione di Trump sull’ambasciata in Israele: Putin ed Erdogan “hanno confermato l’intenzione di sostenere la risoluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base del diritto internazionale”, si legge in una nota. L’offensiva turca contro l’enclave curda di Afrin conferma, inoltre, la recente intesa tra Russia e Turchia. Dopo le tensioni sorte per la battaglia di Idlib, sembra che Erdogan abbia ottenuto di poter “pulire” il proprio confine con la Siria da elementi ritenuti ostili.

Sebbene Mosca non abbia dato il suo benestare ufficiale all’operazione denominata Ramo d’ulivo, è improbabile che Ankara abbia aperto le ostilità senza almeno un nullaosta informale dei russi, che, è bene ricordarlo, hanno il controllo dello spazio aereo sopra Afrin e una presenza militare non indifferente nella regione. Peraltro, alla vigilia dell’operazione, gli osservatori militari russi si sono ritirati dalla regione di Afrin e il capo dell’Intelligence turca, Hakan Fidan e il capo di Stato maggiore Hulusi Akar erano a Mosca per colloqui relativi alla situazione siriana. La convergenza tra Turchia e Russia è confermata dalla reazione di Mosca all’operazione, solo parzialmente stigmatizzata e subito dipinta come un’inevitabile conseguenza delle intenzioni Usa di aiutare i curdi a creare una forza di 30mila soldati in Siria. Insomma, semmai ce ne fosse stato bisogno, anche gli ultimi sviluppi siriani confermano che oggi Ankara è molto più vicina a Mosca di quanto non lo sia a Washington.

In campo commerciale, è ripresa intanto a pieno ritmo la costruzione del TurkStream, progetto che serve a tutti e due i Paesi. Ai russi per cercare di evitare l’Ucraina come nazione di transito del gas, alla Turchia per il suo approvvigionamento interno (Ankara è il secondo acquirente del gas russo, dopo la Germania), ma anche per diventare un hub energetico verso l’Europa. E non si tratta solo di gas: Rosatom costruisce la prima centrale nucleare turca di Akkuyu. Per non parlare dell’accordo russo con la Turchia per la consegna dei sistemi di difesa aerea S-400, per un totale di 2,5 miliardi di dollari, a un Paese membro della Nato.

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