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Lo smog, malgrado abbia concesso un po’ di tregua, opprime ancora la pianura Padana e anche altre aree d’Italia. Le misure di contrasto all’emergenza inquinamento, cioè sostanzialmente i blocchi del traffico, vengono però attuate diversamente da città a città. Il messaggio che sembra passare è che ciascuno si muova per conto suo e l’azione comune di lotta allo smog ne risulti ostacolata. Ma è davvero così?

QUI MILANO, QUI TORINO, QUI BOLOGNA

È un dato di fatto che il blocco del traffico sia partito a scaglioni. Tre esempi: durante la “settimana nera”, la scorsa, Milano (nella foto il sindaco Giuseppe Sala è stata la prima ad attivarsi, martedì 17 ottobre, bloccando i diesel privati fino all’euro 4 dalle 8,30 alle 18,30 e quelli per il trasporto merci solo fino alle 12,30. Qualcosa di simile, ma non uguale, ha fatto Torino mercoledì 18. Qui, fermi tutti gli euro 4 diesel dalle 8 alle 19, tranne i veicoli ad uso commerciale, che potevano circolare nella finestra 14-16 nei giorni feriali (nei festivi cambiavano gli orari). Bologna invece è partita venerdì 20. Sotto la Torre degli Asinelli stop ai diesel euro 4 dalle 8,30 alle 18.30. Torino poi (e solo lei), alla fine della scorsa settimana, quando la situazione era particolarmente critica, ha imposto lo stop anche agli euro 5, poi revocato grazie al vento che ha ripulito un po’ l’aria.

Insomma, tre città, tre scelte diverse, sia sulle date, sia sugli orari, sia sulle categorie di mezzi coinvolte. Ma com’è possibile una tale discrezionalità che, val la pena ricordarlo, è concessa non solo i capoluoghi, ma anche le principali città di ogni Regione?

BLOCCHI A MACCHIA DI LEOPARDO

È possibile per vari motivi. Il primo, il più banale, è quello “meteorologico”. I blocchi scattano quando si verifica uno sforamento dei limiti massimi di inquinamento consentiti, per esempio la concentrazione di polveri sottili o di biossido di azoto, e questo fattore varia di città in città.

Ma le misure sono disomogenee anche per orari e restrizioni: questo perché i sindaci hanno una notevole autonomia nella definizione delle limitazioni. Può capitare quindi ciò che è successo a Torino: Chiara Appendino decide per una stretta ulteriore, ma a seguirla, nell’area della Citta Metropolitana, è il solo sindaco di Venaria, Roberto Falcone (grillino pure lui). Mentre gli altri, in maggioranza Pd, protestano e scelgono blocchi più “soft”.

IL PROTOCOLLO COMUNE

In realtà una regola comune ci sarebbe. La definisce il protocollo che le principali regioni del bacino Padano, cioè Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno siglato la scorsa estate con il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti.

L’accordo stabilisce come intervenire per limitare l’emergenza smog e si applica alle aree urbane dei Comuni sopra i 30mila abitanti. Definisce tre livelli di allerta: verde (cioè nessun’allerta), arancione e rosso.

Il livello arancione scatta dopo 4 giorni di sforamento del limite di concentrazione delle Pm 10. In questo caso, vengono bloccati i veicoli diesel privati fino a euro 4 dalle 8,30 alle 18,30 e commerciali fino a euro 3 dalle 8,30 alle 12,30.

Il livello rosso si attiva dopo 10 giorni consecutivi di superamento dei limiti e prevede limitazioni ulteriori di orario per i veicoli commerciali: gli euro 3 devono fermarsi dalle 8,30 alle 18,30, gli euro 4 dalle 8,30 alle 12,30. I calcoli si effettuano nelle “giornate di controllo”, cioè lunedì e giovedì, per avere una pianificazione adeguata delle restrizioni alla viabilità.

OGNUNO PER SÈ, ITALIA “SCHIZOFRENICA”

E dunque come mai ogni città sembra agire per conto proprio? “Il protocollo è lo stesso e vale per tutti con il medesimo criterio – chiarisce Marco Deserti, responsabile del centro tematico regionale sulla qualità dell’aria di Arpae Emilia-Romagna – I sindaci non possono non applicare le misure, ma hanno la discrezionalità di rafforzarle. Se un Comune vuole prendere misure più restrittive, è libero di farlo”. E così, per esempio, a Torino dopo 20 giorni di sforamento arriverà il “semaforo viola” e il blocco totale di tutti i veicoli, con solo alcune limitate deroghe.

Insomma, il protocollo fissa uno standard minimo di intervento ma consente una maggior severità agli enti locali. Di qui nasce il problema: i sindaci più sensibili a tematiche ambientali provano a forzare la mano, ma il tentativo, se non viene seguito da tutti, restituisce l’immagine di un’Italia “schizofrenica”.

GALLETTI: “NON POSSIAMO SANZIONARE

Ma che succede se i Comuni non rispettano gli accordi? “Non ho un monitoraggio preciso della situazione ovunque, ma non credo sia mai successo – risponde Deserti – Comunque, i piani sono approvati dalle assemblee legislative regionali, quindi sono sovraordinati rispetto alle facoltà dei Comuni, dunque legalmente vincolanti”.

Eppure qualche problema pare che ci sia. Lo ha detto abbastanza chiaramente negli scorsi giorni ministro dell’ambiente Galletti, intervistato dalla Stampa, che gli chiedeva conto del fatto che “gli enti locali fanno quello che vogliono”. “Non esistono sanzioni e non ci sono le basi legislative per prevederle – ha allargato le braccia il ministro – Il mio obiettivo (nella firma del protocollo, ndr) era realizzare un’azione di coordinamento ed è già un compito che eccede le mie competenze. Non spetta a me occuparmi di provvedimenti che devono avere un impatto locale, non posso imporre quando vanno accesi i termosifoni o quando devono essere operativi i blocchi per i veicoli più inquinanti”.

Lo smog, la babele dei comuni e i buchi nei protocolli

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