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Quando parliamo di Industria 4.0 non sottolineiamo abbastanza l’enorme potenziale in termini di sostenibilità ambientale che la rivoluzione tecnologica porta con sé. La smart manifactury è la frontiera per un modello di produzione più lean, più interconnesso, più responsabile: le scelte che facciamo oggi possono migliorare la qualità della vita e incidere positivamente sugli ecosistemi territoriali.

Il dibattito sull’Industria 4.0 è spesso incentrato sull’influenza che il digitale sta esercitando sui modelli organizzativi e, più in generale, sul mercato del lavoro: è certamente un impatto consistente che ci sta costringendo a cambiare l’approccio ai problemi e a sperimentare nuove soluzioni.

Sono molto d’accordo con chi afferma che serve adottare un digital mindset. Siamo di fronte a un salto culturale che investe tutto, perfino le nostre abitudini di vita. Per l’industria del futuro si tratta di sfruttare le tecnologie in una direzione di innovazione pervasiva. Il 4.0 è innovazione di sistema. E in questo contesto, prodotti, beni e servizi 4.0 devono essere pensati per reagire in modo responsabile anche nei confronti dell’ambiente e della società. È indubbiamente una sfida. Ma è certo che siamo lontanissimi dai tempi in cui Milton Friedman affermava che l’unica responsabilità sociale di un’azienda è fare profitti. La tecnologia è solo il mezzo, a governarla sono sempre le persone.

Il ruolo del management in questo processo è fondamentale: quando la forza di rinnovamento è così accelerata non è facile dare una traiettoria al cambiamento (e mantenerla). Pertanto serve qualcuno che lo sappia fare bene, lo sappia fare presto e se ne assuma anche l’onere. Quello che sta accadendo al settore automotive è esemplare.

L’auto elettrica oggi è diventata un prodotto di mercato accessibile e sicuro. Ci sono città nel mondo che stanno studiando misure per introdurre un parco auto circolante totalmente green. La domanda di mercato sta crescendo in tutti i Paesi industrializzati e il 2018 si presenterà come l’anno dei veicoli di alta gamma a zero emissioni.

Questa è un’occasione straordinaria per il settore che traina il nostro Pil. Per l’Italia, significa conseguenze positive per tutta la filiera. Penso ai produttori di componentistica in cui possediamo la leadership tecnologica a livello europeo. I volumi sono in costante crescita dal 2014, il comparto vale oltre 40 miliardi di euro ed esporta metà della produzione. Non è solo Brembo, non è solo Pirelli, che hanno il merito di aver portato alle vette l’eccellenza italiana. Esiste un tessuto produttivo vivace di aziende di piccola dimensione che da sempre lavora operosamente per il settore automotive e che oggi sta affrontando la scommessa digitale.

Si svilupperanno veicoli sempre più ecologici, in grado di annullare le emissioni nocive e di gas serra, che sfruttano energia anche da fonti rinnovabili, veicoli con sistemi di assistenza alla guida di livello incrementale. Tutte le nostre piccole imprese devono essere supportate in questa fase con infrastrutture abilitanti, agevolazioni per la crescita dimensionale e la costruzione di sistemi condivisi di innovazione e di ricerca applicata.

Ma servono anche incentivi all’inserimento di figure professionali nelle Pmi, con competenze manageriali adeguate a gestire la complessità del cambiamento. Si ripropone, quindi, il tema occupazionale, ma stavolta in termini di opportunità. La zero emissione non è solo rispetto di regolamenti e trattati che hanno sottoscritto i governi. È il nuovo territorio della competizione globale in cui avanzerà solo chi ha saputo unire l’investimento in tecnologia e quello in capitale umano. Se ci riusciremo, l’ambiente e le generazioni a venire ne saranno riconoscenti.

(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche)

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