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La conferma di Visco, che Renzi ha esplicitamente e ripetutamente accusato di non avere vigilato abbastanza sulle banche sottoposte al suo controllo, alcune delle quali sono saltate in aria a spese dei loro clienti e di tutti noi contribuenti, non è certamente di competenza di Renzi né come uomo né come segretario del Partito Democratico. E neppure del Parlamento, dove pure il gruppo del Pd ha presentato e fatto approvare da una maggioranza trasversale una mozione per chiedere “una fase nuova” nella conduzione della Banca d’Italia. La conferma, o revoca di Ignazio Visco, è di competenza del governo e del presidente della Repubblica col concorso del parere dello stesso vertice dell’ex istituto di emissione. Se sarà conferma, come tutto lascia immaginare, anche per effetto ritorsivo – è stato detto e scritto da parecchi – dopo la posizione assunta dal segretario del Pd, Renzi ha voluto che ne fosse ben chiara la paternità. E non ha voluto lasciare ai grillini e ai leghisti -nella lunga, troppo lunga campagna in corso in Italia da quasi un anno per le elezioni politiche, che sarebbe stato forse meglio anticipare dopo la svolta costituita dalla già accennata bocciatura referendaria della riforma costituzionale prodotta dalla legislatura cominciata nel 2013- l’esclusiva della rappresentanza dell’insoddisfazione dei risparmiatori per la gestione delle banche e dei loro controllori.

Stento francamente a capire dove sia lo scandalo in questo atteggiamento trasparente di Renzi, che non ha voluto seguire l’esempio di tutti gli altri segretari di partito che nella ormai lunga storia repubblicana hanno partecipato solo dietro le quinte alle decisioni sugli avvicendamenti al vertice della Banca d’Italia: in anni peraltro in cui essa aveva ben più poteri di adesso, battendo moneta. Non vi vedo nulla né di “deplorevole”, né di nevrotico, né di “eversivo”, come hanno invece visto e denunciato, rispettivamente, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, il fondatore della Repubblica di carta Eugenio Scalfari e l’ex direttore ed ancora editorialista del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli. Che non perde occasione per continuare a togliersi dalle scarpe i sassolini della sua sostituzione al vertice del più diffuso giornale italiano, convinto -forse non a torto-che ci fosse stato lo zampino dell’allora presidente del Consiglio, oltre che segretario del Pd, Matteo Renzi: un “maleducato di talento”, disse di lui l’allora direttore del Corriere della Sera lasciando il timone, e dopo avere sparso attorno a Renzi in un editoriale dirompente non l’incenso ma la puzza della massoneria.

In questo Paese in cui è possibile “impicciare”, cioè processare e destituire il presidente della Repubblica, aprire e condurre processi contro chiunque per la cosiddetta obbligatorietà dell’azione penale, con una facilità e una frequenza appena lamentate dal capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone in una circolare ai suoi sostituti, nel tentativo peraltro di indebolire, quanto meno, quelli che l’ex presidente della Camera Luciano Violante ha giustamente definito “incestuosi rapporti” fra chi compila i registri degli indagati e chi ne riferisce sui giornali imbastendo processi col rito abbreviato e sommario; in questo Paese, dicevo, c’è chi vuole estendere al governatore della Banca d’Italia l’infallibilità del Papa. Lo ha denunciato non a torto il presidente del Pd Orfini, Matteo pure lui.

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