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È vero che il detto “piazze piene, urne vuote” ha una sua solidità storica mentre per dimostrare il suo contrario si possono citare i tempi della vecchia Dc o di quando Forza Italia andò al governo: pochi dichiaravano apertamente di votare per loro, molti lo facevano nel segreto dell’urna. Le reazioni del Movimento 5 stelle e della sinistra estrema al voto di fiducia sulla legge elettorale e le loro prime manifestazioni di protesta nella giornata dell’11 ottobre hanno fotografato due realtà molto diverse, unite solo dall’opposizione alla decisione del governo: la piazzetta di fronte a Montecitorio, che ha sempre accolto proteste di tutti i tipi, si è riempita di grillini talmente e sinceramente furibondi da confermare che il “pregio” del Movimento è stato quello di aver incanalato una protesta sociale altrimenti destinata a sfogare forse in modo violento. Che poi appena si sono trovati ad amministrare siano andati a sbattere contro un muro è un concetto che quei manifestanti non riconoscono o comunque non prendono in considerazione.

Dagli insulti pesantissimi di Montecitorio si è passati alla piazza del Pantheon dove gli scissionisti di Mdp, Sinistra italiana e altri hanno arringato una folla al di sotto delle attese. Nonostante la presenza di Pier Luigi Bersani e di Massimo D’Alema (a beneficio delle tv), di parlamentari come Miguel Gotor o Nico Stumpo, di protagonisti di altre battaglie come Pietro Folena o Vincenzo Vita, sul piccolo palco si sono alternati giuristi e politici non di primissimo piano di fronte a poche centinaia di persone. L’impressione, probabilmente sbagliata, è stata quella di un’adunata di nostalgici. Nei giorni precedenti c’erano state polemiche feroci e quell’elettorato è particolarmente sensibile, eppure c’erano pochissime bandiere: qualcuna di Sinistra italiana, un paio di Rifondazione, una dell’Ulivo di antica memoria, un’altra che sosteneva la lista Tsipras alle elezioni europee. Ai piedi della fontana, un signore mostrava un cartello inneggiante al proporzionale puro.

Gli oratori non hanno scaldato l’uditorio, tranne una: Anna Falcone. Avvocato siciliano di 46 anni, in pochissimi minuti e alzando il tono della voce ha attaccato il governo e implicitamente Matteo Renzi; ha sostenuto che “la fiducia è finita il 4 dicembre”, giorno del referendum costituzionale; ha incitato dicendo che “oggi ricominciamo” e che “siamo più di quelli che sono qui” (l’unica ad averlo riconosciuto); ha garantito che “non ci saranno mai più compromessi” dopo questo “colpo di Stato”. Chiara, efficace, dura. Molti applausi, forse i soli convinti. È sicuro che quando saranno organizzate altre manifestazioni e tra gli oratori ci sarà, per esempio, Bersani l’uditorio sarà molto più affollato. Eppure la doppia fotografia delle due piazze indica segnali interessanti in vista dei prossimi, infuocati, mesi di campagna elettorale. Tanto per dire, i Cinque Stelle insultano anche i bersaniani o, peggio, li ignorano: quando stava cominciando la manifestazione del Pantheon, una grillina reduce da Montecitorio e avvolta in una bandiera del Movimento ha tagliato la piazza e non li ha degnati di uno sguardo.

Che cosa è successo davvero nelle piazze urlanti di M5S e sinistra frastagliata

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