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Nella battaglia sulla Brexit c’è un solo vincitore: l’Europa. ​Gli scricchiolii del partito conservatore cui fa capo la prima ministra Theresa May pongono dubbi sulla sopravvivenza del governo. La volontà di David Davis, ministro per la Brexit, di non voler pubblicare i Brexit paper è un segnale che questi contengono le informazioni per cui l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, forte o edulcorata, sarà un disastro.

Theresa May, stretta da un lato da una stampa populista e dall’altro da ministri che supportano sempre meno le sue decisioni, e poi ancora, tormentata da una parte da un’Europa che non concede nulla e dall’altra da un popolo che non le ha dato un solido mandato come sperato, si ritrova (quasi) all’angolo e disarmata nel ricoprire l’infausto incarico di fare uscire il proprio Paese dall’UE.

SE BREXIT FA RIMA CON SEXIT

Le dimissioni del ministro della Difesa Michael Fallon sono solo l’ultimo motivo che ha portato il governo e il partito conservatore inglese a manifestare malcontento nei confronti di May. La possibilità di accordi sulla Brexit sarà influenzata, intaccata o indebolita dall’uscita di scena di un ministro a causa di uno scandalo sessuale? Che questa storia metta sotto i riflettori una Theresa May sempre più algida, incapace non solo di conquistare il cuore dell’elettorato ma anche quello dei componenti del suo partito? Un sexit, nel senso di uscita di uno scandalo sessuale, può davvero far esplodere tutte le micce già accese nei Tory, iniziate con le elezioni del giugno scorso e proseguite con fallimento del primo round di negoziati con l’Unione Europea? Forse no, ma è l’ennesimo episodio in cui la leadership di May viene messa in dubbio.

NASCONDETE I BREXIT PAPERS

David Davis ha affermato che i più comunemente chiamati “Brexit papers” contengono “dettagli particolarmente interessanti” riguardanti le probabili conseguenze dei diversi scenari cui può giungere la Brexit. Particolarmente interessanti sono quelli che immaginano cosa succederebbe se la Gran Bretagna lasciasse il mercato unico europeo senza un accordo commerciale che lo sostituisca, facendo quindi solamente riferimento alle regole imposte dall’Organizzazione mondiale del commercio. Davis ha dichiarato che non bisogna “sopravvalutare” i contenuti di questi studi perché servono solo per “informare chi negozia; non solo previsioni reali”. Ma secondo un famoso esperto di Brexit, Faisal Islam – che su Twitter si descrive come Brexitologist -, i documenti parlano di quali sarebbero le conseguenze della Brexit su 58 settori chiave dell’economia britannica. E, oltre quello dei pescatori, ci sono ben pochi settori che ne beneficerebbero (quello automobilistico non è sicuramente tra questi). Per ora i Brexit paper rimangono nelle mani di Davis e di pochi altri perché “potrebbero influenzare i negoziati”. Il partito Laburista, in risposta alla non divulgazione, grida allo scandalo.

L’ECCEZIONALISMO BRITANNICO È FINITO

Seppure accanto alla parola “eccezionalismo” segue sempre “americano”, fino al referendum sulla Brexit del giugno 2016, in ambito europeo, si poteva parlare anche di eccezionalismo inglese. La “differenza qualitativa” di questo Paese si è sempre notata non solo nei rapporti commerciali di cui poteva beneficiare, ma anche dell’accoglimento meno invasivo delle politiche economiche decise dall’Unione Europea. Il sentimento di eccezionalismo inglese si è spento dal momento in cui il primo round di negoziati con l’Unione Europea ha visto un solo vincitore: l’Europa unita.

IL VINCITORE È SOLO

Holger Kunze, direttore europeo della VDMA (Mechanical Engineering Industry Association), ha di recente dichiarato che “all’interno del dibattito sulla Brexit vengono compiuti molti errori e incomprensioni in Germania e – ha proseguito Kunze – deve essere chiaro: le imprese tedesche non proporranno un accordo flessibile che garantisce al Regno Unito una posizione più vantaggiosa di qualsiasi Stato membro dell’UE”. Le parole di Kunze evidenziano inoltre una posizione nuova dell’Unione Europea. Spinta dal diversivo politico della politica estera trumpiana, che costringe l’Unione ad essere più compatta nelle relazioni con l’estero, costretta da una politica americana meno invadente negli affari europei, che quindi forse la forza a un maggior dialogo, trovandosi, giocoforza, in una posizione vantaggiosa rispetto alla Gran Bretagna, l’Unione Europea, con le sue spesso rarefatte istituzioni, potrebbe solo trarre beneficio dalla Brexit. Questa è dunque più un problema che pone di fronte all’Unione Europea il suo stesso futuro, paradossalmente più compatto grazie alla perdita di un pezzo importante. “Vale la pena di alzarsi e di investire nell’UE perché se perdiamo l’UE avremo un enorme problema”.

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