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Catalogna e Paesi baschi sono profondamente legati, e interagiscono spesso nelle vicende nazionali spagnole, alleati ma con percorsi a volte tortuosi. I loro voti nel Parlamento nazionale sono stati spesso necessari per tenere in piedi maggioranze, per approvare leggi o lo stesso bilancio. Pur nelle differenze territoriali, vantano una specialità linguistica. La democrazia post-franchista, costruita sulle autonomie, ha da un lato integrato le specialità territoriali e dall’altro ne ha mantenuto le rispettive distinzioni. I risultati, almeno fino alla crisi economica del 2008, erano finora ottimi: con la progressiva pacificazione nei Paesi baschi e un considerevole sviluppo generale.

MAGGIORANZE DIFFERENTI

La crescita politica e numerica di forze indipendentiste in Catalogna è un processo relativamente recente: le basi sono state gettate nel dibattito sul nuovo statuto della Generalitat del 2006. L’accelerazione è però venuta dallo spirito di rivalsa che è seguito alla bocciatura dello Statuto da parte della Corte costituzionale nel 2010, su ricorso del Partito popolare spagnolo e catalano.

Il governo della Generalitat si appoggia su una maggioranza che fu costruita per le elezioni del 2015 proprio per il procedimento referendario. “Junts pel Si” (Uniti per il Sì) è una coalizione indipendentista di partiti e personalità: gli eredi del partito di Jordi Pujol, Convergència i Unió, ora distinti in CDC e PDECAT, Eskerra repubblicana (ERC), i socialisti fuorusciti dal Partito socialista catalano (MES). Per avere la maggioranza, nel Parlamento catalano sono stati necessari i voti del CUP, partito di estrema sinistra e indipendentista.

Viceversa, nei Paesi Baschi, il governo autonomo si fonda su un’alleanza con un partito nazionale: la maggioranza è guidata dal Partito nazionalista basco (PNV) e appoggiata dal Partito socialista.

È un quadro diverso, che potrebbe cambiare. Il 22 ottobre, il presidente del Partito popolare locale, Alfonso Alonso, ha sottolineato come gli ingredienti politici simili a quelli catalani ci sarebbero. Basterebbe unire il PNV a forze più radicali, come EH Bildu, i populisti di Podemos, e la piattaforma Gure Esku Dago, che potrebbe entrare in parlamento regionale in caso di elezioni. Sarebbero forze capaci di unirsi in una prospettiva indipendentista. Manca tuttavia il movente: la frizione “statutaria” nata in Catalogna dal 2006 non ha avuto luogo nei Paesi Baschi.

LA PRUDENZA

I Paesi Baschi per tutto il 2017 hanno sostenuto la maggioranza di governo nazionale, per esempio al voto sul bilancio 2017 avvenuto a giugno, e sulla base di una accordo firmato il 3 maggio, da Mariano Rajoy, per il Partito popolare e da Andoni Ortuzar, per il Partito nazionalista basco. Ma anche nel ritiro, di queste settimane, del sostegno basco al bilancio del 2018 si legge un comportamento negoziale. Se il 26 settembre, il ministro dell’economia, Cristobal Montoro,  faceva sapere che il bilancio 2018 avrebbe potuto essere anche rimandato al prossimo anno, i Paesi Baschi rimettevano in gioco il loro voto in cambio dell’attuazione di alcune competenze statutarie, relative all’ispettorato del lavoro e ai porti e aeroporti.

Nella sostanza della crisi, poi, i Paesi baschi hanno svolto un ruolo centrale di mediazione tra Madrid e Barcellona. Il capo del governo basco, Iñigo Urkullu (in foto), ha trascorso la settimana precedente alla sospensione dei poteri della Generalitat a convincere Carles Puigdemont che la scelta migliore erano le elezioni. Altrettanto ha fatto sul versante del governo centrale: utilizzando il canale dei partiti politici, sia il PP nazionale, sia i democristiani catalani di PDECAT. Il 25 ottobre, Urkullu ha anche riunito a Vitoria alcuni imprenditori catalani, per favorire una soluzione di compromesso. Le riunioni e gli incontri sono stati vari, con numerosi  contatti e messaggi telefonici con Puigdemont,  Rajoy, e il leader socialista Pedro Sánchez. Al parlamento nazionale, Aitor Esteban, portavoce del PNV, dichiarava il 25 ottobre che “ non è eroico dichiarare un’indipendenza che nessuno al mondo ti riconosce, che ti crei da solo e che non servirà a nulla”.

Il quadro è dunque delicato. Il PNV ha escluso per il momento di appoggiare il governo nazionale sul bilancio per il 2018, ha chiesto il “rispetto per le istituzioni catalane legittime”. Nel contempo ha trovato un Puigdemont irremovibile, che gli ha consentito di rafforzare il dialogo e la mediazione con i partiti centrali. La soluzione delle elezioni catalane a dicembre è vista come un danno minore, un’applicazione morbida della sospensione dell’autonomia, proprio perché si fanno presto.

Sullo sfondo, all’interno dei Paesi Baschi, si conferma la pressione dei partiti radicali, – EH Bildu e Podemos  – affinché il Partito nazionale basco, rompa con i socialisti, e si metta su una prospettiva catalana.

Tutta la prudenza dei Paesi Baschi sull’indipendenza della Catalogna

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