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C’è una storia libanese che merita di essere raccontata, è molto istruttiva. Per capirla appieno occorre presentare i protagonisti. Nel complesso quadro politico libanese si può dire che esistono due forze incompatibili, da sempre su barricate opposte: il Partito di Dio di Hasan Nasrallah, Hezbollah, sciiti di chiaro orientamento filo-iraniano, e Le Forze Libanesi di Samir Geagea, cristiani maroniti di chiaro orientamento anti iraniano, tanto che oggi sono ritenute molto vicine all’Arabia Saudita.

Un recente fatto di sangue ha riacceso la loro rivalità. Secondo la versione ufficiale di quanto accaduto a un dirigente delle Forze Libanese, che stava rientrando nella marittima Byblos guidando la sua automobile in una deserta stradina di montagna libanese, è stato accostato da un gruppo di ladri d’auto, che lo hanno ucciso per rubargli la macchina e poi sono corsi in Siria per nascondere la salma della vittima. Il racconto è curioso: degli esuli siriani, fuggiti cioè dalla Siria, si arrangiano nel sottobosco criminale rubando macchine, ma per farlo vanno in montagna, non in città, uccidono il conducente e scappano nel Paese da cui sono fuggiti per nascondere con serenità la loro vittima.

Io avrei dei dubbi su questo racconto: quello ufficioso, che non trova conferme, è più logico, è stato Hezbollah, arcinemico delle Forze Libanesi, a eseguire o commissionare il crimine. E loro, gli Hezbollah, come è ben noto, in Siria entrano ed escono come e quando vogliono.

L’evento, drammatico anche perché la vittima è padre di tre figli ora orfani, ha rischiato di riaccendere il fuoco del conflitto confessionale che nel ’75 portò alla guerra civile libanese. Di qui il tentativo di rendere la questione meno esplosiva, con la versione ufficiale dell’accaduto. Con saggezza il leader delle Forze Libanese, ai funerali, ha detto ai suoi di non pensare a vendette. E così è stato per fortuna, mentre in precedenza c’erano state per rappresaglia azioni barbariche (termine usato dalle stesse Forze Libanesi in un loro comunicato ufficiale).

Il problema però è che la questione dei profughi siriani è esplosiva. Si tratta di due milioni di persone, in gran parte nullatenenti, che sopravvivono con aiuti dell’Onu, ma devono pagarsi da mangiare, dormire, da vestirsi per sé e per i figli e così via, in un Paese sprofondato nel baratro della più devastante crisi economica: fino a cinque anni fa un dollaro valeva 1500 lire libanesi, ora ne vale circa 100mila. Può un Paese del genere, che non arriva a cinque milioni di abitanti, ospitare due milioni di profughi? La risposta logicamente è negativa, sebbene sarebbe stato più saggio non distruggere l’economia nazionale, affluente fino a pochi anni fa e depredata da tutti, con il grande contributo finale di Hezbollah (che fine ha fatto l’inchiesta sulla distruzione dell’intero porto commerciale di Beirut? Come mai nessun giudice può indagare?).

Nella loro difficoltà esistenziale, infiltrati da agenti pro-Assad, costoro finiscono facilmente preda del crimine organizzato, grande o piccolo. E non sono i soli, visto che la miseria ormai riguarda anche i libanesi. Ma non è pensabile per questi siriani fuggiaschi rientrare in patria, perché lì permane al potere il regime che li ha intenzionalmente deportati: il regime di Bashar al Assad. Espressione di una piccola minoranza, il regime degli Assad ha sempre avversato la comunità maggioritaria, i sunniti, convinto che la sua anima non gli fosse fedele. Così quando è scoppiata la guerra civile del 2011 Assad ha inteso liberarsi, con le cattive o le cattivissime di quanti più sunniti fosse possibile. Uccidendoli, o deportandoli.

Chi si è schierato da subito per il loro rimpatrio forzato è Hezbollah. Quel fronte di nemici giurati di Assad dentro casa non gli fa comodo, anzi è pericoloso. E poi sono sunniti, e se un domani venissero naturalizzati ridurrebbero il peso degli sciiti. Meglio rispedirli in patria, dove avrebbero incontrato un amaro destino, ma questo sarebbe stato affar loro. Ora accade che il rimpatrio dei profughi sia invocato a gran voce anche dalle Forze Libanesi. Che non è strano. Nemici giurati di Assad, loro sono nazionalisti, e non vedono di buon occhio la presenza di troppi stranieri, per di più tutti musulmani sunniti: anche loro sanno che se col tempo si naturalizzassero altererebbero la bilancia demografica libanese, e questo è l’eterno timore dei cristiani libanesi. Così ora le Forze Libanesi parlano di quei profughi come di una “minaccia esistenziale” per il Paese. Sono le solite strane convergenze tra gli opposti estremi? Forse sì. Ma c’è dell’altro.

Sia Hezbollah sia le Forze Libanesi sanno benissimo che i profughi non torneranno in patria sui propri piedi per quel naturale istinto alla sopravvivenza che li ha indotti ad accettare di sopravvivere anche nei campi di patate dove attualmente dormono, pagando. Ma l’opinione pubblica è scossa da una situazione insostenibile. I numeri sono fuori controllo da anni, e la manovalanza siriana viene impiegata non solo per quei lavori che nessuno vuol fare, ma anche per quelli che nessuno può confessare di chiedere.

Così entrambi indicano nei siriani una presenza non più tollerabile. I cristiani anche per le loro antiche paure, una sorta di tormento interiore ormai atavico. Ma se davvero si volesse risolvere il problema in modo ordinato e civile tutti sanno che la soluzione sarebbe una sola: rimuovere Assad. Impensabile per Hezbollah, che ne è un fedelissimo alleato, irrealistico per le Forze Libanesi, che hanno visto come i regimi “arabi moderati”, ai quali sono vicini per avversità all’Iran e ad Hezbollah, abbiano ripreso relazioni diplomatiche con il despota siriano, dopo aver tentato – a modo loro – di scalzarlo. Essendo rimasto al potere grazie all’intervento militare russo, sarà meglio tenerselo buono per contenere il suo servilismo verso Teheran. Dunque le Forze Libanesi sanno che anche se volessero riproporre il problema Assad nessuno li ascolterebbe. Ma anche loro i problemi del loro retroterra, come Hezbollah.

Così gli opposti finiscono con l’essere simili, i problemi si aggravano, e i siriani rimangono uno dei pochi popoli al mondo che può invidiare i libanesi ridotti in miseria. Si sussurra che in queste ore si stia pensando di tornare a Damasco per arginare il problema dei profughi. Non sarebbe la prima volta che si tenta di arginare una sovrapproduzione rivolgendosi direttamente al produttore. Ma non funzionerà. Per la forza dell’istinto di sopravvivenza.

Tutti contro i profughi siriani. Cristiano racconta il Libano di oggi

La questione dei profughi siriani è esplosiva. Si tratta di due milioni di persone, in gran parte nullatenenti, in un Paese sprofondato nel baratro della più devastante crisi economica: fino a cinque anni fa un dollaro valeva 1500 lire libanesi, ora ne vale circa 100mila. Può un Paese del genere, che non arriva a cinque milioni di abitanti, ospitare due milioni di profughi? Il racconto di Riccardo Cristiano

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