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Qualunque Europa esca dalle urne del prossimo giugno, non potrà non partire dalle basi indicate da Enrico Letta e Mario Draghi nei loro rispettivi lavori. Uno, quello dell’ex leader del Pd ed ex premier, appena consegnato al Consiglio europeo, l’altro, quello del già presidente della Bce e premier nella scorsa legislatura, in fase di rifinitura, anche se il messaggio di fondo è già stato fatto arrivare ai diretti interessati, proprio dallo stesso padre spirituale del whatever it takes.

Di questo è più che convinto l’economista e docente alla Cattolica di Milano, Giorgio Barba Navaretti, per il quale Draghi e Letta non solo stanno provando a fornire alla futura classe dirigente dell’Unione quella cassetta degli attrezzi con cui plasmare una nuova Europa. La posta in gioco è molto più alta: proteggere il continente dai suoi stessi vizi capitali.

Breve premessa. Letta nel suo programma di quasi150 pagine, ha tentato di costruire un nuovo mondo: da quello che c’è già a quello che dovrebbe essere, partendo dal concetto di mercato unico, del risparmio, dei trasporti, dei capitali. E nell’elencare le riforme necessarie ha fatto un esempio chiarissimo: che libertà di movimento c’è in Europa se non esiste un treno ad alta velocità che colleghi tutte le capitali? Oltre a parlare della necessità di attuare nell’Ue un Inflation reduction act (Ira) come sul modello di quello varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden.

Non è un’idea isolata, da tempo diversi governi chiedono di proseguire sulla strada intrapresa con il Recovery fund, ossia dare a Bruxelles il compito di accaparrarsi risorse sui mercati dei capitali con l’emissione di eurobond e redistribuire tali soldi agli Stati, in particolare a quelli che fanno più fatica a investire perché impegnati a sistemare i conti e a rispettare il Patto di stabilità. Draghi da parte sua, ha indicato una strada difficile ma necessaria a tutti i Paesi membri: rafforzare le difese militari e l’approvvigionamento energetico per evitare che l’Europa al prossimo shock si trovi totalmente indifesa.

Mario Draghi ed Enrico Letta hanno in mente una nuova idea di Europa. Il futuro governo comunitario dovrà tenere conto di queste indicazioni e in che misura?

Mi pare che questi due lavori mandino un segnale chiaro alla prossima Commissione europea: serve un rafforzamento dell’integrazione dei mercati europei, un concetto espresso in modo limpido sia nel rapporto di Letta, sia in quello di Draghi. Chiunque governerà l’Europa dopo le elezioni di giugno, dovrà lavorare in questa direzione, per un’Europa unita, forte, stemperando il concetto di nazione. Ne va della nostra crescita, del benessere, della prosperità del continente.

Letta, in particolare, sembra tenere molto al completamento dell’unione dei mercati e dunque dei capitali. Ma è possibile immaginare un simile traguardo quando in Ue ci si chiede ancora se sia giusto fare o non fare debito comune?

Sono due cose diverse, il debito comune è un aspetto fiscale, in cui si emettono titoli per aiutare chi è in difficoltà. Il mercato unico altro non è che l’abbattimento delle barriere per favorire la circolazione dei capitali per allocare, per esempio, i propri risparmi in giro per l’Europa. Ed è molto utile, altro esempio, per ridurre la dipendenza delle imprese dal credito bancario, favorendo la mobilità dei risparmi e dei capitali. Letta fa molto bene a proporre questa idea.

Un’altra proposta, sempre di Letta, è un Inflation reduction act formato Ue, che renda il continente meno esposto ai prezzi dei mercati extra Ue. Gli Stati Uniti lo hanno già fatto, lei che ne pensa?

In Europa già si sta procedendo in questo senso, basta guardare all’allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato. Ma manca, e qui il lavoro di Letta è prezioso, una visione comune, gli aiuti ogni governo se li fa da solo, senza coordinamento. Invece, tornando al discorso precedente, con un mercato davvero unico, ci sarebbero meno individualismi e meno solisti, evitando anche distorsioni del mercato.

Parliamo di Draghi, il quale invece parte dal presupposto di una difesa comune e da una maggiore autonomia militare.

Un aspetto importante, non secondario. Sistemi di difesa nazionali permettono una duplicazione delle risorse, invece che mettere tutto a sistema. Si moltiplicano progetti e quindi costi e risorse, con un livello di difesa inadeguato e per giunta doppiamente costoso. Una difesa europea, invece, aggirerebbe questi ostacoli.

Alla luce di quanto detto, allora prescindere da queste due rotte tracciate sarebbe un errore?

Mi auguro che vengano presi seriamente in considerazione, sono due guide fondamentali per costruire una nuova Europa. Poi verranno fatte scelte politiche, certo. Ma speriamo che si dia il giusto valore.

I Paesi frugali, che hanno sempre osteggiato l’emissione di debito comune, sono sempre in agguato, pronti a guastare la festa?

Non ne sarei così sicuro, a volte la guastano anche quelli che spendono di più. Guardi l’Italia, non approvare il Mes è stato un errore. Certo, quei Paesi sono più riluttanti a condividere le risorse, ma il tema è un altro, ovvero immaginare e costruire una nuova Europa e il punto di partenza deve essere l’abbattimento delle barriere, prescindendo dal discorso legato alle risorse, che poi possono arrivare anche da Paesi diversi.

L'Europa di domani dovrà partire da Letta e Draghi. Parla Barba Navaretti

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