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La brutale uccisione di 26 civili indù a Pahalgam, in Kashmir, ha scosso profondamente l’India. L’attacco terroristico del 22 aprile, compiuto dal gruppo estremista islamico The Resistance Front (TRF), affiliato al ben noto Lashkar-e-Taiba (LeT), responsabile anche degli attentati di Mumbai del 2008, sembra essere stato pianificato con precisione. I terroristi hanno selezionato deliberatamente le vittime: erano uomini, tutti indù, provenienti da varie parti dell’India. L’unico musulmano rimasto ucciso, un operatore locale di cavalli, ha perso la vita cercando di proteggere i turisti. Secondo le testimonianze, gli assalitori si sarebbero accertati che le vittime non fossero musulmane prima di aprire il fuoco.

La risposta dell’India è arrivata nella notte tra il 6 e il 7 maggio, con il lancio dell’Operazione Sindoor, una serie di attacchi mirati contro infrastrutture terroristiche situate in Pakistan e nella regione del Jammu e Kashmir sotto controllo pakistano (PoK). Il nome dell’operazione è carico di simbolismo: il sindoor è una polvere rossa tradizionale indossata dalle donne sposate nella cultura indù e nepalese, e la sua assenza è spesso segno di vedovanza. “Sindoor” è dunque un omaggio alle 26 vedove lasciate dal massacro di Pahalgam, e un richiamo alla giustizia.

Secondo il ministero della Difesa indiano, l’operazione – annunciata ufficialmente alle 1:44 del 7 maggio – ha colpito nove obiettivi collegati a gruppi terroristici, tra cui campi di addestramento del LeT. Le località esatte non sono state rese note, ma si ritiene che si trovino a Kotli, Muzaffarabad e Bahawalpur. L’intervento è stato descritto come “mirato, proporzionato e non escalatorio”, con l’obiettivo di evitare vittime civili e strutture militari convenzionali.

La situazione nella regione resta estremamente tesa. Nonostante un cessate il fuoco annunciato poche ore dopo gli attacchi, diverse violazioni sono state segnalate, alimentando i timori di un’escalation incontrollata tra due potenze nucleari. Secondo fonti diplomatiche, una fragile “intesa” sarebbe stata raggiunta grazie alla mediazione degli Stati Uniti.

Intanto, anche in Europa l’eco della tragedia si fa sentire. A Roma, la diaspora indiana ha organizzato una manifestazione in piazza Santi Apostoli per commemorare le vittime e denunciare il terrorismo. “Condanniamo con forza l’atto codardo compiuto dai terroristi a Pahalgam, dove civili innocenti sono stati massacrati”, dichiara ManMohan Singh, imprenditore originario di Karnal, Haryana, residente a Terracina da 18 anni. “Chiediamo al governo indiano che i responsabili siano assicurati alla giustizia al più presto.”

Anche Rocky Sharda, imprenditore punjabi residente a Roma, ha preso la parola: “Il terrorismo è una piaga che continua a mietere vittime innocenti in nome della religione. L’unico modo per proteggerle è sradicare il terrorismo in tutte le sue forme”.

Con il dolore ancora vivo e le tensioni regionali al massimo livello, la questione indo-pakistana torna al centro del panorama geopolitico globale, mentre la comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione.

India-Pakistan, l’eco delle tensioni arriva a Roma. Il commento di Vas Shenoy

Di Vas Shenoy

Nonostante le dichiarazioni di cessate il fuoco, le tensioni nella regione rimangono elevate, con violazioni segnalate e timori di escalation. La comunità internazionale osserva con preoccupazione, mentre la diaspora indiana in Europa organizza manifestazioni per commemorare le vittime e denunciare il terrorismo

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