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Parola d’ordine competitività. L’Europa si guarda allo specchio e in occasione degli Stati Generali dell’Industria “Verso un’Europa più competitiva: Innovazione, Sostenibilità e Politiche Industriali”, promossi a Roma da Parlamento e Commissione europea prova a fare un punto della situazione, anche alla luce delle nuove emergenze geopolitiche che toccano il comparto industriale. Esponenti politici ed istituzionali hanno ragionato a più cervelli sulle priorità da affrontare. La prima richiesta verte il binomio energia-produzione, la seconda il rischio che la prolungata instabilità porti l’economia globale verso lidi poco sicuri, per usare un eufemismo.

Si cambia con 7 documenti

Il governo italiano si è impegnato a costruire sette documenti di indirizzo strategico, che ha presentato nei mesi scorsi dinanzi al Consiglio e alla Commissione europea: alcuni di questi oggi indirizzano il dibattito all’interno della Commissione nel rapporto tra le istituzioni, ha rivendicato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso secondo cui si tratta di tracce che “a nostro avviso possono aiutare e contribuire e indirizzare, per quanto possibile, il dibattito in sede europea”.

L’obiettivo è duplice: un percorso riformatorio verso una piena neutralità tecnologica da applicare in ogni ambito, con l’Italia che secondo Urso “è sicuramente il paese che ha meglio compreso quale sia il percorso da indicare alla Commissione e alle istituzioni europee”. Roma infatti è l’unico paese che ha partecipato a tutti i progetti autorizzati sin dal 2018, per questa ragione ha recentemente assunto un ruolo di co-leadership insieme alla Francia e alla Romania per la costruzione di un nuovo e ambizioso progetto “per promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie nucleari su cui le imprese italiane sono pronte con progettualità di ottimo livello”.

Il Libro Bianco

In questa direzione va letta la decisione italiana di realizzare un vademecum sulla strategia industriale, ovvero il Libro Bianco Made in Italy 2030 al fine di allacciare i destini di Italia e politica industriale europea. In questo calderone programmatico trovano spazio 10 filiere strategiche del Made in Italy, le 5 tradizionali (alimentari, abbigliamento, arredo, automazione e automotive) a cui vanno sommate le cosiddette nuove, come farmaceutico, cantieristica, nautica, aerospazio, industria della difesa, industria artistica e creativa, settori in netta crescita “che possono svolgere un ruolo fondamentale accanto a quelli tradizionali” .

Quale politica industriale

Ma quale politica industriale deve perseguire la nuova Europa dopo che il dibattito sul green deal e sul 2035 come stop (non più così certo) ai motori termici ha provocato un’onda d’urto politica, prima che industriale? Deve cambiare l’indirizzo di politica industriale in Europa “laddove si sono creati i problemi che oggi ricadono su tutte le nazioni industriali europee, a cominciare dal dato più evidente che è quello che riguarda l’industria dell’auto europea ormai al collasso”, spiega Urso, nella consapevolezza che l’auto è la prima industria in questi paesi europei, che contiene in sé anche la chimica, la siderurgia, la microelettronica, per cui “quando entra in crisi l’auto per evidenti responsabilità di quella follia ideologica che è stato il Green Deal di conseguenza entrano in crisi coloro che realizzano componenti per le auto e quindi la microelettronica, la siderurgia e la chimica, il problema va affrontato alla radice”.

Competitività e stabilità

La radice ha un nome preciso, competitività. Per questa ragione l’appello che è arrivato da Confindustria tocca il tema delle “scelte nette e coraggiose”. Lo dice apertamente Marco Nocivelli, vicepresidente Confindustria Politiche industriali e made in Italy, secondo cui l’Europa ha oggi l’urgenza di dotarsi di una politica industriale vera, solida e strutturale. “Abbiamo bisogno di pragmatismo, di una strategia che rafforzi la nostra autonomia strategica e che accompagni davvero la transizione, senza scaricarne il costo sulle imprese”. Il tema riguarda la possibilità data dal Clean Industrial Deal, “prima occasione utile per impostare una nuova fase di politica industriale europea ma da solo non basta, serve una cornice strategica che sostenga le filiere industriali europee, in particolare quelle hard-to-abate, con strumenti adeguati, investimenti mirati, tempi realistici. La transizione deve essere integrata con il digitale, in modo coerente e non ideologico”.

Ue e Usa

Barbara Cimmino, vicepresidente per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti di Confindustria, è certa che l’instabilità geopolitica espone l’economia globale a rischi elevati. “Un prolungato effetto incertezza può condurre il commercio mondiale alla stagnazione, con una contrazione stimata dal Centro Studi Confindustria tra il -2% e il -2,5%”. Ecco che la “relazione economica tra Ue e Stati Uniti resta un pilastro irrinunciabile: gli Usa sono il primo importatore mondiale e, solo nel 2024, l’interscambio transatlantico ha superato i 1.600 miliardi di euro. Gli investimenti bilaterali valgono oltre 5.300 miliardi di dollari e generano quasi 10 milioni di posti di lavoro equamente distribuiti”.

Industria e Ue. Diagnosi e cure dagli Stati generali di Roma

L’occasione degli Stati generali dell’industria Ue, celebrati a Roma, è stata utile per indicare priorità e soluzioni, nella consapevolezza del ruolo italiano. Urso: “L’auto è la prima industria in questi Paesi europei che contiene componenti frutto della chimica, della siderurgia e della microelettronica, per cui quando entra in crisi l’auto, di conseguenza, entrano in crisi proprio coloro che realizzano i suddetti componenti”

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