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Scusate la franchezza, di cui sono malato incurabile, ma pensate davvero che a questo punto interessino davvero a qualcuno le indagini sugli appalti, gli affari, le frequentazioni, le influenze e quant’altro di casa per un certo tempo alla Consip, cioè alla centrale degli acquisti e delle forniture per la pubblica amministrazione? Via, non prendiamoci in giro. Non interessano più neppure a chi le ha reclamizzate allo spasimo per tanto tempo, neppure al giornale – naturalmente Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio – che ha avuto la fortuna o il privilegio o l’abilità, poco importa, di collezionare scoop e di rinfacciarli in ogni occasione ad una concorrenza pur provvista di maggiori mezzi. Ho addirittura il sospetto che ormai esse – le indagini Consip vere e proprie – non interessino più di tanto neppure ai magistrati che le hanno condotte e che le conducono tuttora, fra le Procure di Napoli e di Roma, fra i quali c’è forse qualcuno che maledice il giorno in cui le ha cercate o gli sono cadute addosso.

Più delle indagini sulla Consip e di chi vi è già rimasto in qualche modo impigliato, facendosi persino un po’ di carcere cosiddetto cautelare, che in questo Paese non si nega a nessuno, quasi come gli avvisi di garanzia, interessano alla “gente”, come si dice in gergo popolare, e persino agli stessi inquirenti, le inchieste sulle inchieste, sempre a livello giudiziario o para-giudiziario, penali o disciplinari che siano. Esse sono distribuite, in particolare, fra la Procura di Roma, che oltre ad essere investita di una parte dell’affare Consip, è competente ad occuparsi dei magistrati di Napoli sospettati di avere abusato delle loro funzioni, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Procura generale della Corte di Cassazione e l’Arma dei Carabinieri, cui appartengono due ufficiali della polizia giudiziaria, ma forse anche di più, che hanno redatto brogliacci ascoltando le intercettazioni, e alcuni ancora più in alto, compreso il comandante generale, sospettati di avere avere praticamente sabotato le inchieste originarie informando gli indagati di essere sotto controllo.

Curiosamente l’unico che non indaga, o quello che indaga di meno, e si tiene più lontano da tutti e da tutto, è il guardasigilli Andrea Orlando, titolare di un ministero, quello della Giustizia, che dispone di un ispettorato per controllare il funzionamento degli uffici giudiziari. E sfido chiunque a dissipare i dubbi sul funzionamento dei vari uffici, appunto,  per i quali sono passate le carte dell’inchiesta targata Consip.

Non sono curiose solo le distanze che da questa complessa e inquietante vicenda giudiziaria ha preso il guardasigilli, molto presente invece nel dibattito all’interno e all’esterno del suo partito – il Pd – sulle prossime scadenze elettorali, sulle alleanze politiche da definire prima o dopo l’appuntamento con le urne e quant’altro.

Sono curiose anche le distanze che cominciano a prendere dalle indagini e dalle indagini sulle indagini i giornaloni, che stanno allontanando articoli e commenti sui fatti dalle prime pagine, quasi intimoriti dagli scoop realizzati, una volta tanto, in concorrenza col quotidiano di Travaglio.

Penso, in particolare, agli scoop recenti del Corriere della Sera e de la Repubblica sulla deposizione del capo – anzi capa – della Procura di Modena, il 17 luglio scorso, alla prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, che ne ha trasmesso la trascrizione alla Procura di Roma dopo quasi due mesi  provocando, prima ancora degli accertamenti a carico dei due ufficiali dei Carabinieri criticati dalla magistrata modenese – il maggiore Scafarto e il colonnello De Caprio, più noto come Ultimo – un’altra indagine  per fuga di notizie, finite appunto sul Corriere e su Repubblica.

A questa fuga peraltro ne sono seguite altre, come quelle su inediti scontri fra l’allora capitano Scafarto e il notissimo pubblico ministero di Napoli, Henry John Woodcock (in foto), ai cui ordini lavorava indagando sulla Consip, o sul diritto singolare rivendicato dal colonnello Ultimo di chiarire davanti al “popolo” la sua posizione, o esasperata attenzione attribuitagli verso la famiglia di Matteo Renzi, non bastando evidentemente i chiarimenti chiestigli dalla Giustizia, con la maiuscola, e dall’Arma di appartenenza. È inoltre seguito il sorprendente annuncio della magistrata di Modena di non riconoscersi, o di non riconoscersi del tutto, nelle parole attribuitele a proposito della sua deposizione di luglio.

Già basta questa incursione sommaria nelle scatole cinesi dell’affare Consip, credo, per far venire il capogiro ad un lettore, diciamo così, comune. Figuriamoci che cosa lo aspetta ancora perché questa storia, anzi storiaccia, è solo agli inizi, per quanto le indagini targate Consip risalgano addirittura a quattro anni fa, essendo nate da alcune assunzioni ospedaliere in cui si avvertì a Napoli puzza di camorra. Che bastò ed avanzò a Woodcock, competente del ramo, per occuparsene e non mollare l’osso, pur chiestogli dai superiori, quando la camorra uscì di scena e subentrò tutt’altro.

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Perché del caso Consip si capisce ormai ben poco

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