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Manca solo il lutto al braccio dei grillini, e degli altri demagoghi di complemento, perché oggi, venerdì 15 settembre 2017, tutti i deputati e senatori eletti per la prima volta nel 2013 in questa diciassettesima legislatura sopravvissuta miracolosamente a tutti i rischi di elezioni anticipate fra i quali era cominciata, hanno maturato il diritto al cosiddetto vitalizio. Che, al pari di tutti gli altri nelle loro condizioni, cioè di prima elezione o nomina, come si dice in gergo tecnico, potranno riscuotere a 65 anni di età qualcosa come ottocento euro mensili netti, calcolati col sistema contributivo. Che potranno superare i mille euro, sempre netti, ed essere percepiti a 60 anni per quei fortunati che riusciranno ad essere ricandidati e rieletti per un’altra legislatura ancora, la diciottesima, se riuscirà a superare anch’essa la soglia dei quattro anni, sei mesi e un giorno rispetto ai cinque anni della durata ordinaria, com’è accaduto appunto a quella infelicemente in corso. Non a caso, d’altronde, i grillini si sono dati internamente la regola dei due mandati, che è anche un incentivo alla fedeltà, per quanto non riuscito perché non si contano ormai i loro fuoriusciti dai gruppi parlamentari.

Parlo di legislatura infelicemente in corso non perché, come sostengono sempre i grillini e i loro imitatori, fra i quali purtroppo si arruolano di tanto in tanto anche Matteo Renzi e i suoi pretoriani, alcune centinaia di parlamentari – circa seicento- hanno maturato il cosiddetto vitalizio, per quanto inferiore a quelli acquisiti dai meno giovani negli anni passati col sistema retributivo, ma perché questa legislatura è politicamente morta il 4 dicembre dell’anno scorso, con la bocciatura referendaria della riforma costituzionale. La si sta trascinando a fatica nei marosi inevitabili di una campagna elettorale lunghissima, che solo gli ipocriti si ostinano a ignorare pretendendo che un Parlamento di fatto delegittimato produca ancora leggi, fra le quali ve n’è una, già approvata alla Camera con una maggioranza anomala di grillini, leghisti, sinistra e Pd, al netto dei dissensi interni esplosi al Senato, che vorrebbe tagliare di quasi la metà, dal 40 a più del 50 per cento, i vitalizi liquidati col sistema retributivo e percepiti da circa 2600 ex parlamentari o coniugi odiosamente o scomodamente in vita, secondo i gusti e le opinioni di grillini e simili, accomunati dall’abitudine di vedere “privilegi” in tutto e in tutti e dal desiderio di tagliarli con la scimitarra.

In questa furia demagogica, che gratta la pancia dell’elettorato peggiore inseguendone i voti, con un fanatismo degno di miglior causa, non sono ammesse pause di riflessione o richieste di buon senso, oltre che di umanità. Tali potrebbero essere quelle, per esempio, di escludere dai tagli gli ultraottantenni, giusto per farli morire, come si dice in pace, e di limitare gli interventi ai percettori di più trattamenti pensionistici, o di collegarli ai redditi ricavabili dalle loro denunce fiscali. No, non sono e non debbono essere ammesse deroghe.

I tagli dovranno essere, secondo la logica di questi barbari travestiti da moderni, indiscriminati e rapidi. Ma anche propedeutici, nonostante le deboli smentite degli amici di Renzi, ai progetti da macelleria sociale come quelli da tempi coltivati dal presidente dell’Inps Tito Boeri, che vorrebbe ricalcolate col sistema contributivo, e quindi tagliate di oltre un terzo, tutte le vecchie, ordinarie pensioni liquidate col sistema retributivo e superiori non si è ancora capito bene se ai 2500 o ai 3000 euro lordi mensili.

La confusione, al solito, è massima. E massimo naturalmente è anche l’allarme sociale, del quale i demagoghi se ne strabattono facendo spallucce, come mi è capitato personalmente di vedere, a chi parla di terrorismo sociale, e non solo di allarme.

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