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La vittoria a valanga di Donald Trump alle elezioni del 5 novembre apre la porta ad una serie di trasformazioni sullo scenario internazionale, che vanno a toccare tutti i continenti. Anche se non è possibile fare delle predizioni esatte, ci sono indizi che suggeriscono la rilevanza di alcune dinamiche. Formiche.net si è rivolta a Joseph Nye, politologo di Harvard e coniatore del concetto “soft power” ma anche Assistente del Segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale, un breve commento al riguardo.

Le elezioni statunitensi si sono appena concluse, e Trump è stato rieletto Presidente. Qual è il suo pensiero al riguardo?

Beh, penso che sia stata un’elezione molto importante perché c’erano due alternative, quella di Harris e quella di Trump, che erano piuttosto diverse. Come risultato della vittoria di Trump, possiamo dire che c’è molta più incertezza. Mi spiego: non possiamo sapere esattamente quali saranno le implicazioni politiche, perché quando si parla di Trump c’è da tenere in considerazione una sua forte imprevedibilità personale, e inoltre non è ancora chiaro chi saranno i suoi consiglieri. Con Harris ci sarebbe stata una maggiore prevedibilità su entrambi questi fattori.

Come europei,  su cosa possiamo lavorare per mantenere saldo il nostro legame con gli Stati Uniti?

Credo che Trump sia un atlantista molto meno convinto rispetto ad Harris, o in generale al mainstream della politica americana degli ultimi decenni. Che gli europei si aspettino delle tensioni è dunque naturale. E credo che l’Europa dovrà gestire con attenzione le relazioni con l’America. Trump è molto transazionale, ed ha una visione “mercantilista” dell’economia, che si traduce in un’enfatizzazione delle tariffe doganali. Il vecchio continente dovrà tenere presenti queste dinamiche nel gestire i rapporti con Washington.

E riguardo ai rapporti con le potenze revisioniste cosa c’è da aspettarsi dal nuovo mandato di Trump? Partiamo dalla Russia.

Per quanto riguarda i rapporti con la Russia, Trump ha avuto in passato una relazione con Putin e ha anche espresso il desiderio di porre fine alla guerra in Ucraina “entro un giorno”, qualunque cosa significhi. Ma questo suggerisce che ci saranno pressioni su Zelensky per negoziare con Putin e che la posizione negoziale di Putin sarà più forte di quella che avrebbe avuto, per esempio, nel caso di una presidenza Harris.

Passiamo alla Cina.

Per quanto riguarda la Cina, non credo che ci sarà un grande cambiamento di politica in Asia. Penso che la posizione dei repubblicani e quella dei democratici sulla politica in Asia siano molto vicine. Molto più vicine di quella che ha l’Europa.

Crede che un aggiustamento di rotta da parte dell’Europa potrebbe facilitare i rapporti con gli Stati Uniti a guida Trump?

Senza dubbio sarà importante. Penso che gli Stati Uniti si concentreranno maggiormente sulla Cina. Lo si vede già, come questione bipartisan a Washington. In questo senso, sarà importante per l’Europa non cercare di mettere la Cina contro gli Stati Uniti per cercare di trarre vantaggio da questo confronto. Al contrario, l’Europa dovrebbe pensare a come affrontare la Cina come un problema geopolitico e geoeconomico comune ai due lati dell’Atlantico, e a come coordinarsi su questo punto con Washington. Credo che questa sia una strategia più sensata per l’Europa.

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