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Come previsto, durante la visita del premier giapponese Kishida Fumio alla Casa Bianca (prima di un leader giapponese in nove anni), Stati Uniti e Giappone hanno annunciato un aggiornamento storico dei legami di sicurezza, con il quale Tokyo sale in cima alla lista degli alleati globali di Washington. Il presidente Joe Biden vede il Giappone come “un baluardo contro il dominio cinese” nell’Indo Pacifico, per dirla come la NBC.

Incorniciato dall’hanami lungo il Potomac — ricordo di quando nel 1912 il sindaco di Tokyo, Ozaki Yukio, regalò centinaia di ciliegi a Washington, in segno dell’amicizia tra le due città — il viaggio di Kishida è stato tanto simbolico quanto operativo.

“Attraverso la nostra partnership, abbiamo rafforzato l’alleanza. Abbiamo ampliato il nostro lavoro insieme. Abbiamo sollevato le nostre ambizioni condivise”, ha detto Biden nelle sue osservazioni di apertura durante una conferenza stampa congiunta nel Rose Garden della Casa Bianca. “E ora l’alleanza Usa-Giappone è un faro per il mondo intero”.

Quel modello è parte del Quad e del nuovo sistema a tre con le Filippine — che si riunisce in questi giorni sempre a Washington, e che la scorsa settimana ha effettuato la prima esercitazioni nel Mar Cinese insieme all’Australia. In futuro potrebbe essere il centro del cosiddetto “Pillar 2” dell’Aukus, altro sistema minilareale centrale per la strategia americana — che viene chiamata “hub-and-spokes”, modello preferito almeno per ora alla strutturazione di una più pesante “Nato Asiatica”, su cui anche molti degli alleati americani forse non farebbero le corse per aderire, per primo il Giappone, che dovrebbe scontrarsi con modifiche profondissime alla costituzione pacifista.

Come ha detto Kishida, il Giappone è “il partner globale degli Stati Uniti”, con responsabilità particolari sull’Indo Pacifico, dove Tokyo intende creare una “rete multi-livello” di alleanze con “Usa e Giappone come pilastro centrale”.

Dopo il discorso al Congresso, in cui il livello politico è stato alzato sulla base dei valori comuni (la tutela delle democrazie e dell’ordine basato sulle regole e un passaggio così: “Voglio rivolgermi a quegli americani che sentono la solitudine e l’esaurimento di essere il paese che ha sostenuto l’ordine internazionale quasi da solo. Capisco che sia un fardello pesante […] Non ci si dovrebbe aspettare che gli Stati Uniti facciano tutto senza aiuto e da solo. In quanto amico più intimo degli Stati Uniti, Tomodachi, il popolo del Giappone è con te, fianco a fianco, per assicurare la sopravvivenza della libertà”), Kishida ha concluso il suo viaggio con una sosta nella Carolina del Nord, per visitare il cantiere di una nuova fabbrica di batterie per veicoli elettrici che fornirà la casa automobilistica giapponese Toyota (l’impianto dovrebbe generare 5.000 posti per i lavoratori americani).

Una nuova Tokyo

Negli ultimi anni, il Giappone ha sperimentato un cambiamento epocale nella percezione del suo ambiente di sicurezza. Vive la competizione tra potenze in modo diretto, cerca di evitare lo schiacciamento tra Cina e Usa — sebbene inevitabile — e vuole farsi riconoscere dalle altre realtà regionali come un attore strutturato con cui creare sistema. Dal governo di Abe Shinzo, Tokyo ha riscoperto la dimensione strategica.

Una scoperta diventata necessità dal febbraio 2022, quando l’invasione su larga scala russa dell’Ucraina ha mostrato pubblicamente i termini di ciò che sarebbe un ordine mondiale non basato sulle regole condivise negli ultimi settant’anni — le stesse regole che hanno permesso a Tokyo, sconfitto nella Seconda guerra mondiale di crescere, essere inglobato nel G7, svilupparsi come punto di riferimento alleato del Paese che lo aveva sconfitto nel conflitto.

Se alla Russia verrà permesso di prevalere in Ucraina, si “invierà il segnale sbagliato all’Asia, ha spiegato Kishida in un briefing con i giornalisti al Kantei, l’ufficio del primo ministro, il 5 aprile. Tokyo ha colto l’occasione offerta dalle circostanze — la maggiore apertura dell’amministrazione Biden nel tessere la rete alleata, la guerra russa, la grande complessità dell’ascesa cinese (che è anche il primo partner commerciale del Giappone), la disponibilità simmetrica di altri alleati ad accettare nuove forme di cooperazione (su tutti, la ricostruzione dei rapporti con la Corea del Sud secondo un altro sistema minilaterale americano-centrico, “Camp David Principles”).

Quello di Kishida è un monito anche per la prossima leadership americana, con il grande “what if”, che in giapponese va sotto il termine “moshitora”, sul ritorno al potere di Donald Trump. Sebbene le visioni sull’Indo Pacifico e sulla competizione con la Cina non sono formalmente cambiate tra la presidenza Trump precedente e l’attuale, è possibile che l’atteggiamento generale nei confronti delle alleanze possa cambiare con un ritorno del leader dell’America First al posto di Biden dopo Usa2024. E l’elevazione adesso della cooperazione strategica con il Giappone potrebbe essere anche uno scatto pensando a questo.

Sebbene le chance che Trump si contragga dall’Asia sono notevolmente minori rispetto a quanto può succedere riguardo all’Europa, c’è timore che il ritorno alla retorica diplomatica meno forbita di Trump possa intaccare quello che Biden ha anche in questi giorni definito impegno “ironclads” nei confronti dei destini degli alleati asiatici — con particolare riferimento alle aggressioni di Pechino contro Manila. Il rischio è far apparire gli alleati, e dunque Washington, più debole.

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