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La lezione ligure illustra cause ed effetti della politica come una tac radiologica. L’esito iniziale evidenzia la necessità di tracciare una sintesi essenziale, evitando il caotico moltiplicarsi delle analisi.
Seguono l’incrocio dei dati e la proiezione dei risvolti sullo scenario nazionale.

La complessità del risultato è scomponibile per coalizioni e singoli partiti. Nonostante l’apparente esiguità del distacco, l’affermazione di Marco Bucci e del centrodestra mette l’accento sull’intuizione vincente della premier Giorgia Meloni di scartare il variegato contesto dei fratelli coltelli e degli alleati di governo l’un contro l’altro armati e di puntare tutto sul sindaco di Genova considerato “l’uomo del fare” per la ricostruzione del ponte e la rinascita della città.

Estraneo alle camarille e non coinvolto nell’inchiesta giudiziaria che ha determinato le dimissioni del governatore Giovanni Toti, il neo presidente della regione Liguria Bucci ha rappresentato un punto di riferimento per tutti i moderati e il centro destra, recuperando in poche settimane il gap dei quasi 10 punti di distacco col centrosinistra.

Un distacco alimentato anche dai retroscena dell’inchiesta giudiziaria sulla gestione regionale degli appalti portuali. Sotto questo aspetto non si può far finta di non vedere che il voto ligure denota un implicito retrogusto anti magistratura.

A Palazzo Chigi, la felice coincidenza del trofeo del palazzo della Navigazione generale italiana a Genova, sede della Regione, vale molto di più della semplice affermazione del centrodestra, ma rappresenta l’accelerazione dell’azione di governo e la polverizzazione degli attacchi concentrici contro Giorgia Meloni e i vari ministri.

Un’accelerazione che consente alla premier di passare alla controffensiva a partire dagli inquietanti e gravemente eversivi retroscena dei molteplici sistemi di dossieraggio scoperti uno dopo l’altro negli ultimi mesi.

Nel centrosinistra la sconfitta ai punti presenta paradossalmente aspetti molto positivi e esiti negativi definitivi.

Il miraggio della facile affermazione sull’onda dell’inchiesta giudiziaria si è trasformato nell’incubo della lacerante trattativa, al limite del ricatto, con la quale Giuseppe Conte e i 5 Stelle hanno prima messo in dubbio la candidatura di Andrea Orlando e poi imposto il veto di Matteo Renzi e Italia Viva.

Con l’aggravante che il clamoroso tracollo grillino ha trascinato alla sconfitta l’intero centrosinistra, al quale sono mancati i pochi punti percentuali dei voti renziani e dell’ex esponente dei 5Stelle Nicola Morra presentatosi come indipendente.

L’ecatombe dei consensi del fu movimento di Beppe Grillo e Gian Roberto Casaleggio, rappresenta la campana a morto per la compagine guidata da Conte.

Una fine ingloriosa e mortificante, sancita dalla faida esistenziale fra l’ex presidente del consiglio e il fondatore. “Chi di vaffa ferisce di vaffa perisce”, commentano gli ambienti parlamentari.

Un epilogo al quale manca il the end che potrebbe essere sancito dalla sedicente assemblea costituente grillina di fine novembre che sarà chiamata a prendere atto della nuova inarrestabile emorragia di voti che secondo i sondaggi il movimento registrerà anche nelle imminenti regionali dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria.

Al buco nero che incombe sui 5Stelle corrisponde tuttavia il grande exploit del Pd di Elly Schlein che rasenta in Liguria il 30%.

Un’impennata superiore al risultato delle Europee, che costituisce la prova matematica del recupero dei voti grillini e prospetta la capacità programmatica del partito democratico per rappresentare una concreta alternativa di governo.

Tanto per Giorgia Meloni che per Elly Schlein la lezione ligure è destinata a determinare effetti positivi.
Per la premier costituisce l’opportunità, senza l’assillo di fronteggiare Matteo Salvini e Antonio Tajani e di tenere a bada le mattane di ministri e partito, di programmare con calma l’elezione dei giudici costituzionali e del componente laico del Csm mancanti, far luce in profondità sui dossieraggi, di varare un’incisiva riforma della giustizia, e di suonare la fine della ricreazione per gli apprendisti stregoni allo sbaraglio della Rai.

Per la segretaria del Pd rappresenta l’occasione da cogliere al volo per sancire la definitiva e concreta svolta unitaria del centrosinistra. Una svolta per indirizzare i democratici lungo politica delle nuove generazioni digitali ed ecologiche, dei diritti e delle libertà fondamentali. Non nell’ambito di una democrazia apparente, ma di una democrazia compiuta.

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