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Per alcuni quel partito delle canottiere esibite in segno di virilità, le riunioni a Gemonio e i pratoni gremiti a Pontida. Umberto Bossi nel 1984 diede il via a un partito “radicato nei territori, con una vocazione chiaramente nordista anche in nome dell’eredità federalista di Gianfranco Miglio. Ora, di quella Lega, resta il nome. Anzi, neanche quello per la verità”. È un riso amaro quello che viene dall’altra parte della cornetta. Per Gianpaolo Vallardi, leghista della prima ora, senatore in due legislature e due volte sindaco di Gorgo al Monticano poi di Chiarano, oggi vicepresidente della fondazione Italia Usa, ripercorrere quei tempi è un esercizio tra il romantico e il doloroso.

GIANPAOLO VALLARDI PRESIDENTE COMMISSIONE AGRICOLTURA SENATO DELLA REPUBBLICA

C’è più di un nome dietro un partito che spegne la quarantesima candelina.

C’era più di un nome. Un piccolo partito che divenne grande e che seppe esprimere una classe politica grazie al fondatore. Oggi di quel partito e di quella originaria vocazione resta ben poco. Mi sembra che al momento non si capisca bene dove si voglia andare a parare.

L’identità è perduta?

Il partito è stato svuotato della sua identità. La Lega ora si arrocca attorno ad alcuni fortini, senza però esprimere una linea chiara sui temi che da sempre hanno caratterizzato la linea programmatica del movimento. Il leader, Matteo Salvini, mi pare che più che altro passi da uno slogan all’altro senza ottenere grandi risultati.

Però va detto che la Lega sta perseguendo pervicacemente la riforma sull’Autonomia con il ddl Calderoli. 

Si, è vero. Ma francamente ne vedo difficile l’applicabilità. L’autonomia differenziata sarà efficace solamente quando verranno stanziate le risorse per i livelli essenziali di prestazione. Risorse che, al momento, non ci sono. Quindi Salvini si è portato a casa la battaglia sull’autonomia, drenando risorse per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina.

Cosa dovrebbe fare il Carroccio per recuperare per lo meno parte del suo elettorato?

Da qualche tempo milito in un altro partito. Tuttavia quello che osservo è che la Lega si sta sempre di più spostando verso destra cercando di scavalcare Fratelli d’Italia. Mentre le persone, in particolare a fronte dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente e dopo la pandemia, hanno bisogno di partiti moderati, pragmatici e tutto sommato centristi. Il contrario rispetto a ciò che è diventata la Lega.

Quando si è iscritto alla Lega?

Nel 1994, subito dopo il terremoto di Mani Pulite. C’era bisogno di sindaci giovani, amministratori con il volto “pulito”.

Che partito era?

Un gruppo di amici, in cui si lavorava assieme in armonia, fortemente legato al territorio da cui si proveniva. Molto votato a rappresentare le istanze del Nord.

Che ricordo ha di Pontida?

Pensi che non si riusciva neanche a raggiungerlo il pratone, arrivando in macchina, A volte neanche in moto si era capaci di scavalcare quel muro di persone. Oggi sono costretti a organizzare i pullman da ogni parte d’Italia. E si passa anche con il trattore, volendo.

Prima dell’ascesa di Salvini, ci fu la parentesi della segreteria di Roberto Maroni, la famosa Notte delle Scope (correva l’anno 2012). 

Fu un periodo transitorio. Probabilmente necessario, dal momento che il fondatore non aveva più di fatto il controllo del partito. Quella di Maroni è stata una parentesi che ha preparato il terreno all’arrivo di Salvini e dei suoi. E alla situazione nella quale il partito si trova in questo momento.

Che cosa direbbe, a distanza di quarant’anni, a Umberto Bossi?

Lo si può solo ringraziare. E lo dovrebbero fare tutti coloro che durante questi anni hanno fatto politica grazie a lui. Ha fatto più di quanto si potesse fare umanamente. Forse, l’unica cosa che gli recrimino, è il fatto di essersi scelto male i suoi collaboratori.

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