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La disinformazione rischia di cambiare il nostro mondo, o siamo già nel mondo della disinformazione? Una domanda all’apparenza semplice, quasi retorica, ma che in realtà è pregna di sfumature e di significati meno immediati, che però meritano di essere oggetto di riflessione. E l’occasione per una riflessione d’insieme su tutto ciò è stato l’evento tenutosi martedì 9 aprile al Centro Studi Americani, in occasione del dibattito organizzato in concomitanza con la presentazione del volume “Disinformare: ecco l’arma” scritto da Alberto Pagani, già deputato della Repubblica italiana e titolare della cattedra di Terrorismo Internazionale all’Università degli Studi di Bologna, e Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence. Ad animare il suddetto dibattito, introdotto dal presidente del Centro Studi Americani Roberto Sgalla e moderato dalla direttrice di Formiche Flavia Giacobbe e dalla responsabile Scuola della Fondazione Leonardo Ilaria Iacoviello, esponenti delle istituzioni e del mondo dell’high-tech, ognuno dei quali ha contribuito costruttivamente attraverso l’apporto del proprio expertise e del proprio punto di vista su un argomento su cui c’è ancora grande confusione.

O, per dirla con le parole del leader comunista cinese Mao Tse-Tung riprese dall’ex comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri, “La confusione è grande sotto questo cielo, quindi la situazione è eccellente”. Proprio perché in una situazione caotica è più semplice riuscire ad ingannare l’avversario, inficiandone così la capacità di combattere in modo più o meno convenzionale, “attraverso una propaganda sistematica, continuativa e strutturata” capace di condizionare psicologicamente e a livello comportamentale la popolazione. E nel mondo di oggi, in cui al conflitto armato “convenzionale” dobbiamo se non sostituire almeno affiancare il concetto di “guerra cognitiva globale” che mira a conquistare cuori e menti dell’avversario, la subdola pervasività della disinformazione è più pericolosa che mai. Anche perché, come rimarca il vice direttore generale del Dis, Alessandra Guidi, ci troviamo di fronte alla “tempesta perfetta” per la disinformazione, con un contesto geopolitico instabile e polarizzato che esaspera sia le posizioni politiche interne che la propaganda e le narrazioni veicolate da attori ostili. Non solo la Russia, spesso considerato come l’attore ostile per eccellenza in questo settore, ma anche la Repubblica Popolare Cinese, e persino l’Iran.

L’azione di questi attori attraversa una serie di domini, ma è quello dei social network dove il risultato è esponenzialmente più grande. L’approccio compulsivo e molto superficiale ad essi, evocato dal vicepresidente di LaPresse ed ex direttore dell’Aise Luciano Carta, ci fa dedicare molta meno attenzione a quello che leggiamo, rendendoci di conseguenza più impreparati. Anche per la struttura stessa dei social, che ci spinge ad un atteggiamento passivo nei suoi confronti. Ma oggi siamo in una dimensione di guerra, e dobbiamo attrezzarci per difendere la nostra democrazia, che nel contesto europeo è particolarmente a rischio. “Siamo bulimici del consumo di informazioni dei social network. Si stima che il tempo medio che dedichiamo ad una notizia sui social va dagli otto ai dodici secondi. Non c’è ragionamento in questi processi, c’è emozione”, afferma Pagani, che individua la chiave del funzionamento dei processi di disinformazione non sulle informazioni false in sé, ma sugli stimoli emozionali che esse provocano. Tanto semplice, quanto efficace. E lancia anche l’allarme: “Lo scopo di fondo della disinformazione non è tanto il manipolare risultati elettorale, ma disgregare. Di attaccare la fiducia” verso la democrazia.

E la democrazia riuscirà a resistere a questa spallata? Forse, se si riuscirà a mettere in piedi un sistema capace di garantire una sufficiente resilienza. E questo è “responsabilità della politica”, come asserisce il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, il quale ricorda anche come in Italia passi avanti sono stati compiuti in questo senso. Guerini vede in questo tema uno degli aspetti del “grande salto” in cui siamo profondamente immersi, salto che avrà un impatto sull’organizzazione della nostra politica e della democrazia stessa, anche se non è possibile sapere ad oggi quali saranno gli esiti. “Siamo in una fase di complessità, dove non abbiamo ancora una bussola. Ed è importante trovarla”. Responsabilità della politica, appunto, e non delle aziende private, secondo la linea dettata dalla public policy manager di Meta Costanza Andreini, che pone la questione su come rimuovere ciò che è potenzialmente pericoloso ma vero si scontri con la possibilità di garantire il pluralismo. Mentre Diego Ciulli, head of government Affairs and Public Policy di Google Italia, invita provocatoriamente a “costruire una sfiducia” verso il mondo digitale.

Mentre tira le somme della discussione, Caligiuri indica nell’ignoranza il problema centrale del nostro Paese, almeno riguardo a queste tematiche. “Le politiche pubbliche dovrebbero essere orientate a puntare sull’educazione. Lo dice Joseph Stieglitz, che ricorda come negli ultimi due secoli la società sia progredita in proporzione all’aumento della propria capacità di apprendimento”. E il basso livello dell’educazione in Italia e fuori, assieme ad una dismisura delle informazione, sono i fattori che hanno permesso la transizione alla società della disinformazione. Di cui non sappiamo nulla perché ci siamo totalmente immersi dentro. Come pesci nell’acqua.

Emotività, attori ostili, educazione. Le chiavi della disinformazione

La presentazione del libro “Disinformare: ecco l’arma”, scritto da Alberto Pagani e Mario Caligiuri, offre lo scenario per avviare una discussione sulle dinamiche più recondite che animano i processi della disinformazione. Insieme agli autori al Centro studi americani anche il presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il vicepresidente di LaPresse ed ex presidente dell’Aise Luciano Carta, il vicedirettore generale del Dis Alessandra Guidi, l’ex comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri, la public policy manager di Meta Costanza Andreini, l’head of government affairs and public policy di Google Italia Diego Ciulli

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