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Il fondatore e capo di WikiLeaks, Julian Assange ha scritto un op-ed pubblicato dal Washington Post a proposito delle accuse alzate contro di lui dall’amministrazione Trump. Il governo di Washington, a stretto giro di una settimana, ha prima definito l’organizzazione un “servizio segreto ostile” per bocca del direttore della Cia Mike Pompeo, poi ha fatto sapere di aver innescato una vera e propria caccia all’uomo per trovare l’insider che ha passato a WikLeaks i documenti riservati poi pubblicati come “Vault 7”, infine è stato il capo del dipartimento di Giustizia Jeff Sessions a dire che l’arresto di Assange è “una priorità”, mentre il giorno precedente alcuni funzionari anonimi avevano fatto sapere alla CNN che il piano studiato dagli avvocati del dipartimento per incastrare l’australiano, che vive rifugiato al consolato ecuadoriano a Londra, era ormai pronto.

Assange sul WaPo usa gli argomenti difensivi di cui dispone, che possono smuovere l’opinione pubblica americana sul nervo liberale che delinea il Primo emendamento della Costituzione: la libertà di espressione. Il fondatore di WikiLeaks dice che la “Pompeo doctrine” è pericolosa, e accomuna l’uscita del direttore della Central intelligence alle posizioni di dittatori come Recep Tayyp Erdogan, Bashar el Assad, o tutti coloro che sopprimo il dissenso. Se mi arrestano, spiega Assange (anche umanamente interessato, visto l’enormità della pena che gli potrebbe toccare per aver rivelato informazioni classificate in violazione dell’Espionage Act e stando alle accuse di cospirazione), questo peserà su qualunque editore o giornalista. Il rischio è che nessuno sarà più in grado di pubblicare informazioni sensibili, anche riservate, che permettono ai cittadini di scoprire qualcosa su attività coperte del governo. È un tema sensibile, ovviamente.

Assange ricorda poi che un tempo a Donald Trump e Pompeo piacevano le attività di WikiLeaks, soprattutto quando l’organizzazione ha diffuso il materiale che hacker russi avevano sottratto ai server del Partito Democratico, creando i presupposti per una campagna di disinformazione nei confronti della candidata Hillary Clinton. Se si volesse cercare un nesso tra le attività informative di Assange e l’essere potenzialmente “un servizio segreto ostile”, si dovrebbe trovare in episodi come questo, dato che l’Intelligence Community americana li ritiene pezzi di un piano con cui il Cremlino potrebbe aver ordinato di interferire con le elezioni americane.

Solo che la credibilità di chi adesso attacca WikiLeaks è intaccata perché meno di un anno fa, il 24 luglio per esempio, colui che adesso è il direttore della Cia e ai tempi era ancora un deputato dal Kansas, Pompeo, usava i leak diffusi da Assange per colpire la candidatura dem di Clinton.

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Di quel tweet gli fu chiesto conto anche durante le audizioni di conferma per la sua nomina al Senato, e Pompeo disse di non ritenere WikiLeaks “una fonte di informazione credibile”. Ma nei giorni della convention repubblicana, in un paio di occasioni, con Fox Business e sul Washington Examiner, il deputato diceva che l’organizzazione di Assange aveva fornito le prove che Clinton aveva esposto a rischi la sicurezza nazionale e che con Barack Obama aveva messo in atto un piano per falsare le primarie democratiche. E poi ci sono ancora altri tweet usando sempre le informazioni pubblicate da WikiLeaks per scopi elettorali contro i democratici. Una situazione quanto meno imbarazzante.

Mike_Pompeo, cia pompeo

Editoriale di Assange sul WaPo per difendersi dalle accuse della Cia

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