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Un sms repentino è arrivato a tutti deputati del Partito democratico. Convocati per martedì 11 luglio con il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e quello per le Politiche agricole Maurizio Martina. Tema: il Ceta, l’accordo di libero scambio tra Ue e Canada, che sta spaccando la politica e anche il Partito Democratico. Bisogna serrare le fila altrimenti si farebbe una figura barbina anche perché sul tema si sono spesi sia Matteo Renzi quando era premier che l’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, appena qualche settimana fa quando ha ricevuto a Villa Madama il premier canadese Justin Trudeau.

A sparare a salve contro il trattato anche degli “insospettabili” come il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. “La Regione Lazio dice stop al Ceta per difendere la qualità dei nostri prodotti tipici. Chiediamo al Parlamento italiano di fare lo stesso”, ha scritto in un tweet che ha fatto storcere il naso a molti esponenti del Pd.

Anche il governatore della Puglia, Michele Emiliano, è uscito allo scoperto: “L’abbattimento dei dazi attiva significativi flussi di importazione competitiva sotto il profilo dei prezzi, ma con scarsi standard qualitativi e di sicurezza, a fronte della mancanza di un sistema di regole che tuteli i consumatori e che assicuri evidenza e trasparenza sull’origine delle materie prime. E Il comparto agroalimentare made in Italy ne subirebbe un rilevante danno”.

E c’è chi, come il senatore dem Giuseppe Lumia ha preso carta e penna e mandato una interrogazione urgente al governo: “Vengono sollevate dai contestatori diverse problematiche, tra cui, in particolare, vi è la riforma del sistema degli arbitrati: con il Ceta, verrebbero, infatti, creati nuovi tribunali per le controversie tra aziende e Stati. Tribunali che potrebbero diventare un mezzo delle multinazionali per fare causa a uno Stato, tutelando i propri profitti” Per questo il senatore siciliano chiede di sapere “quali ulteriori accorgimenti il Governo intenda intraprendere per riportare l’accordo dentro i binari corretti di tutela, anche dei prodotti agricoli di eccellenza presenti nel Sud Italia; quali iniziative intenda avviare, per promuovere nel mondo i prodotti made in Italy in agricoltura, tutelandone la qualità e contro la concorrenza sleale”.

Certo, le avvisaglie si erano viste già durante l’approvazione del Trattato nel Parlamento europeo lo scorso giugno, quando la metà dei deputati Pd votò a favore e altri democratici votarono no. Era inevitabile che questo testo, in ambito nazionale, provocasse dei malumori. Anche perché l’Italia è il primo parlamento dell’Unione europea ad avere preso l’impegno di ratificare, prima di tutti gli altri, il trattato mentre la Francia, ad esempio, fa ricorso in Ue.

La manifestazione della Coldiretti di qualche giorno fa a Roma è stata un vero e proprio detonatore tanto che anche chi nel Pd è sempre stato convinto dell’accordo si è visto costretto a mettere le mani avanti in difesa proprio della nostra macchina agricola. “Rivendichiamo 5 anni di lavoro in cui l’agricoltura ha vissuto una sorta di ‘risorgimento’: sono cresciuti il Pil agricolo, l’esportazione, l’occupazione in agricoltura soprattutto dei giovani”, si sono affrettati a sottolineare i deputati dem Marina Berlinghieri (capogruppo Pd in Commissione Politiche europee), Nicodemo Oliverio (capogruppo Pd in Commissione Agricoltura) e Giovanni Falcone (componente della Commissione Agricoltura). “Affronteremo in sede parlamentare i contenuti e i temi del Trattato. Apriremo un confronto con le organizzazioni di categoria (Coldiretti in primis), perché nel trattato possa essere valorizzato il Made in Italy e tutelate le nostre produzioni. Diffidiamo di alleanze e posizioni politiche che tanto sanno di Ogm. Noi continuiamo ad essere dalla parte di chi difende e tutela nei fatti l’agricoltura italiana”.

Certo la linea renziana che poi è quella del ministro dello Sviluppo Economico Calenda espressa in un intervento sul Corriere della Sera, non può essere messa in discussione dai mal di pancia di alcuni deputati e senatori e recentemente è stato il senatore Pietro Ichino – molto ascoltato sulle tematiche del lavoro e non solo – a fugare ogni dubbio sulla necessità di un sì convinto al Trattato: “Le economie italiana e canadese sono marcatamente complementari. Con questo accordo di libero scambio il Canada aumenterà l’esportazione verso l’Italia soprattutto di materie prime che a noi fanno difetto, di grano, di pesce congelato, di crostacei e di soia (tutti prodotti, peraltro, che già oggi noi in varia misura importiamo da quel Paese: soprattutto il grano); noi invece aumenteremo le esportazioni verso quel Paese, con i suoi 36 milioni di abitanti, di macchine utensili, automobili, moto e autocarri, occhiali, prodotti dell’industria alimentare, tessile, dell’abbigliamento, del cuoio, dell’oreficeria, e diversi altri ancora. Col risultato di un ampliamento e rafforzamento del nostro tessuto produttivo, come di quello canadese: il classico gioco a somma positiva”.

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