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Meglio tardi che mai. Ci hanno messo un po’ di tempo ma alla fine anche nei giornaloni hanno cominciato a chiedersi se il ministro della Giustizia Andrea Orlando non si trovi in un troppo imbarazzante conflitto d’interesse politico di fronte al grande pasticcio che è diventato l’affare giudiziario della Consip. Con due Procure della Repubblica, quelle di Napoli e di Roma, che negano beatamente di essere entrate in collisione ma di cui si vedono i rottami nelle cronache. Con un capitano della polizia giudiziaria indagato a Roma e usato ugualmente a Napoli sino a quando lui stesso non ha ritenuto graziosamente di mettersi da parte, astenendosi da altri atti in Campania, dove invece la magistratura-ripeto- continuava a considerarlo in forza, e poteva magari affidargli altre intercettazioni da ascoltare, trascrivere o riassumere in qualche brogliaccio da consegnare al sostituto procuratore di turno per le opportune decisioni. Che dovrebbero essere comunque sempre precedute da altrettanto opportune valutazioni e verifiche, mancate nel caso del nostro capitano perché la discordanza fra intercettazione e traduzione di un colloquio fra due indagati -l’imprenditore Alfredo Romeo e il suo consulente ed ex deputato finiano Italo Bocchino– a proposito di un “incontro con Renzi”, è stata scoperta a Roma, non a Napoli.

Sulla prima pagina del Corriere della Sera si sono finalmente decisi a rilevare i diversi, forse troppo diversi ruoli del guardasigilli: ministro che deve garantire, per Costituzione, “fatte salve -dice l’articolo 110- le competenze del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, e candidato alla segreteria del Pd in concorrenza con Matteo Renzi. Che dal primo momento è stato il principale obiettivo mediatico e politico, da parte dell’opposizione, esterna ma anche interna al suo partito, della vicenda giudiziaria Consip, ben prima che grazie anche a quella manipolazione intercettativa finisse indagato pure il padre Tiziano. Il quale è accusato di traffico di influenze illecite: influenze derivanti proprio dal fatto di essere il papà dell’allora presidente del Consiglio e insieme segretario del Pd.

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E’ chiaro tutto questo? Dovrebbe esserlo per l’evidenza, direi, persino sfacciata dei fatti. Eppure non è ancora chiaro a tutti. Neppure al guardasigilli. Che si è deciso sì, parlandone in qualche modo con il Corriere della Sera, ad esprimere la speranza che la vicenda giudiziaria “si risolva bene” per il suo concorrente Renzi, e famiglia, ma ha anche detto che non ha potuto ricorrere allo strumento investigativo dell’ispezione ministeriale perché sinora non risultano “presenti responsabilità dei magistrati”.

Pertanto il massimo che il ministro ha potuto o si è sentito di fare è la disposizione ai suoi uffici di chiedere alla Procura Generale di Napoli “elementi sulle anomalie di funzionamento della polizia giudiziaria”. Solo -torno a chiedermi- della polizia giudiziaria, che è nel nostro caso il nucleo ecologico dei Carabinieri, estromesso dalle indagini a Roma ma non a Napoli? Un nucleo nel quale si sono notoriamente create tensioni, non si sa sino a che punto influenti in ciò che accaduto nella gestione dell’inchiesta Consip, per la recente sostituzione del comandante noto come “Ultimo”, ed entrato nella leggenda della lotta alla mafia con la cattura di Totò Riina nel 1993.

Si vedrà intanto nei prossimi giorni se e cosa sarà fatto di più almeno nel Consiglio Superiore della Magistratura, dove per ora si sono limitati a prendere atto della richiesta del consigliere forzista Pierantonio Zanettin di aprire almeno “una pratica” sulla vicenda Consip. Dovrebbe occuparsi della questione, almeno secondo quanto ha anticipato il vice presidente e presidente di fatto Giovanni Legnini, il comitato di presidenza in una riunione programmata già precedentemente per martedì.

Ma sarà forse il caso che al Csm si diano una mossa anche per nominare il capo della Procura di Napoli, che da fine febbraio è sotto gestione provvisoria di un reggente.

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Un altro fronte caldo sul versante giudiziario si è creato a Palermo con la richiesta di rinvio a giudizio di quattordici esponenti del movimento grillino, di cui tre deputati nazionali, per una brutta faccenda di firme false nella presentazione delle liste per le ultime elezioni comunali.

All’inizio Beppe Grillo in persona snobbò le indagini declassando curiosamente le firme da false a “copiate”. Ma poi, un po’ per fatti indubbiamente interni al movimento, che a Palermo soffre come altrove di lotte a dir poco fratricide, e un po’ per il tifo sempre più generalizzato che Grillo fa per i magistrati, le cui iniziative lo aiutano nella gogna che egli pratica nei riguardi dei partiti concorrenti, la musica è cambiata anche a Palermo.

I tre deputati pentastellati che rischiano il processo sono stati prima sospesi dal movimento ma non dal gruppo della Camera. Poi sono stati sospesi anche dal gruppo. Ora Grillo ha messo in cantiere qualcosa contro di loro di ancora più consistente, ma non per i fatti a loro addebitati ma per le critiche espresse nei riguardi degli inquirenti.

Così il movimento delle 5 stelle è diventato il più allineato alla magistratura, ben rappresentata d’altronde al recente convegno di Davide Casaleggio a Ivrea, in memoria del padre Gianroberto e alla presenza dello stesso Grillo, dal davighiano Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Messina. Davigo invece è, a dispetto di Luigi Di Maio, il sogno di molti grillini a Palazzo Chigi, se e quando riusciranno ad arrivarvi.

ANDREA ORLANDO

Vi racconto gli slalom di Andrea Orlando fra Consip, Matteo Renzi e Csm

Meglio tardi che mai. Ci hanno messo un po' di tempo ma alla fine anche nei giornaloni hanno cominciato a chiedersi se il ministro della Giustizia Andrea Orlando non si trovi in un troppo imbarazzante conflitto d’interesse politico di fronte al grande pasticcio che è diventato l’affare giudiziario della Consip. Con due Procure della Repubblica, quelle di Napoli e di…

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