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Il 13 febbraio 2017 si è tenuta la Direzione Nazionale del Partito Democratico. C’era grande attesa: giornalisti, maratone TV, tutti incollati davanti allo schermo del PC per seguire lo streaming… No, per me c’era altro da fare: ho avuto il piacere e per me l’onore di accompagnare Cécile Kyenge a un incontro dedicato ai temi dell’integrazione e delle migrazioni alla Fondazione della SPD Friedrich-Ebert di Berlino.

Abbiamo parlato dei temi urgenti dell’Europa. Abbiamo discusso con esperte ed esperti di queste tematiche per creare un network, anzi rafforzarlo, al di là dei vari recinti nazionali. Stavamo facendo Politica. Quella con la P maiuscola. Altrove si consumava invece l’ennesimo triste show dove opposte tifoserie si sono scontrate.

Una frase di Cécile mi è rimasta impressa del suo intervento: “non possiamo rinunciare ai nostri valori”. Una frase semplice eppure fondamentale: nell’attività politica, dice, si devono seguire quei valori che ci caratterizzano, sempre. Non si possono mettere via, offuscare, nascondere, offendere, per l’interesse contingente. Per racimolare un po’ di consenso qua o là, a scapito del progetto politico generale. Inseguire i populismi è fatale per noi. Un partito socialdemocratico (lo siamo?) deve essere coerente con i suoi valori.

Due giorni prima ero stato ospite a una discussione della SPD di Berlino dal titolo “il tramonto della socialdemocrazia?” e avevo detto più o meno le stesse cose: dobbiamo discutere prima del “cosa” e poi del “chi. Bisogna fare proposte che siano coerenti con i nostri valori, quelli che ci definiscono come socialdemocratici e non come altro. Ho rimarcato un dato: siamo un “partito”. Non possiamo rappresentare il 100% delle istanze sociali e politiche. Perché è un non-sense. Abbiamo una fetta di elettorato a cui rivolgerci. che deve diventare sì la più ampia possibile, ma se perdiamo di vista i nostri valori allora diventiamo qualche cosa di diverso, perché il nostro sguardo si sposterebbe in una direzione del tutto diversa e il nostro agire sarebbe quindi rivolto alla realizzazione di obiettivi diversi. Dobbiamo coinvolgere e convincere sempre più persone con i nostri temi, le nostre idee. Questo è il ruolo, la sfida, di un partito. Non rincorrere le mode del momento in vista della raccolta di consenso scoordinato e scollegato da un progetto politico ampio. Non siamo al mercato!

Abbiamo fatto una scelta nel 2014: aderire al PSE. Siamo parte di una famiglia politica con una tradizione di oltre 150 anni. Siamo socialdemocratici, per lo meno io lo sono. E non voglio rinunciare a questa storia, a queste esperienze a questi valori, di nuovo: giustizia ed equità sociale, solidarietà, internazionalismo, europeismo, dignità del lavoro, fratellanza… Sono valori che DEVONO orientare le nostre azioni.

Cécile ha raccontato poi la sua esperienza: ha fatto battaglie per i diritti e le libertà civili e su quei temi, che sono propri della nostra cultura politica, ha vinto alle europee, malgrado lo scetticismo di molti e i tentativi di appannare la sua campagna elettorale, perché i temi usati erano rischiosi per il “consenso”. Ha dimostrato l’opposto! Servono leader coraggiosi, ha affermato. Sì, servono davvero tanto. Coraggiosi, perché restano fedeli alle proprie idee e perseguono i fini senza dimenticarsi di chi sono. Oggi, possiamo dire di essere stati così fortunati da avere dei leader tanto capaci, lungimiranti, coraggiosi e coerenti? No, temo proprio di no.

Ho letto, ascoltato e ri-ascoltato gli interventi alla Direzione PD e ho ascoltato Renzi. Ho capito che non ha (hanno) capito quello che è accaduto il 4 dicembre 2016, né le volte prima con le elezioni amministrative né il ri-emergere, anche a casa nostra, di movimenti populisti, xenofobi, euroscettici e di destra. Il pericolo è alla porta, e sta bussando con vigore. Eppure, la classe dirigente del mio partito sembra imprigionata in un incantesimo del sonno: il sogno è diventato la realtà per molte e molti. Così ciascuno si racconta il proprio film, si fa la propria narrazione favolistica e fuori il mondo va avanti e rischia di travolgerci.

Congresso sì o congresso no? Sembra quasi un gioco. Come se fosse semplicemente un momento per definire la nomenclatura delle liste, ricollocare le fazioni e premiare chi si è dimostrato leale e punire chi non lo è stato. Questo è il tramonto della politica.

Sarà che vivo anche l’esperienza politica in un partito non italiano, qua in Germania, e quindi vedo e vivo cose assai diverse. Per esempio, mi sarei aspettato (e augurato) semplicemente buon senso perché:

1) le sorti di un governo non possono essere decise nella direzione via streaming di un partito. Per altro per una seconda volta,

2) le beghe personali dovrebbero restare fuori dalla discussione politica, o per lo meno non prevalere in modo così evidente, da una parte e dall’altra, ovviamente,

3) un congresso è una cosa seria: significa, come ha evidenziato giustamente il Sen. Sergio Lo Giudice, coinvolgere le nostre iscritte e i nostri iscritti, i circoli, per un vero momento di confronto e di partecipazione,

4) già, la partecipazione, questa sconosciuta. Eppure, nello Statuto del PD questo elemento è fondamentale e trasversale: il cuore del partito sono le iscritte, gli iscritti e le elettrici/i, eppure nessuno li ha mai coinvolti nelle decisioni fondamentali prese in questi anno, malgrado proprio lo statuto prevedesse strumenti ad hoc, come i referendum propositivi,

5) un congresso non si può fare in meno di due mesi, a meno che non ci sia dietro la mera volontà di far esplodere tutto, facendo venir meno tutta la parte di costruzione programmatica che un partito serio, e socialdemocratico, invece dovrebbe assolutamente fare. La SPD ha fatto dei forum per mesi e mesi dalla metà del 2016 in poi per la stesura del programma con cui ora Martin Schulz, che nessuno sapeva sarebbe stato il candidato alle elezioni di settembre, potrà usare come strumento di campagna elettorale a suo favore. Dietro il leader carismatico c’è una comunità politica!

6) E infine, la comunità politica, già. Mi chiedo se sappiano molte e molti cosa significhi realmente: siamo nel PSE eppure Renzi e altri importanti esponenti del nostro partito si esprimono a favore di un candidato di un partito diverso, En Marche! di Macron. Allora non si è capito proprio niente di tutto quello che ha significato entrare nel PSE. La cosa è assurda e sconcertante.

Ma tutto questo potrebbe inserirsi in un quadro molto più ampio e spregiudicato.

La domanda vera a questo punto è: ma a qualcuno interessa ancora il PD?

Le sorti di questa comunità politica sono care a qualcuno? Non saprei, inizio ad avere seri dubbi. Poco male, alle italiane e agli italiani interessano niente o poco queste discussioni, semmai gli importa di sapere se con il loro lavoro avranno poi una pensione dignitosa, se i giovani avranno un’opportunità di lavoro, decente, se con il proprio reddito saranno in grado di vivere decorosamente, se il costo della vita crescente non li soffocherà…

Eppure, considerando il tempo attuale, il PD è davvero un baluardo contro le derive estremiste di destra e contro i populismi che strisciano in modo subdolo in forme inedite. Bisogna ricostruire il legame con la cittadinanza e riscoprire il senso della “rappresentanza”. Le nostre elette e i nostri eletti sono là a rappresentare gli interessi delle proprie elettrici ed elettori così come del Paese tutto. Non è il contrario: non siamo noi militanti o i cittadini a rappresentare loro nei territori… Questa macabra e assurda inversione dei ruoli sta divorando questo partito… Non siamo noi a dover capire e adeguarci, è la struttura e chi la popola che dovrebbe iniziare a seguire quello che viene dalla base. Solo così un partito è comunità. Solo così abbiamo la possibilità di essere competitivi, credibili e meritevoli della fiducia delle persone. Altrimenti siamo spacciati.

Mi spaventa, devo dire, quello che accadrà nei prossimi giorni o mesi. Se la strada tracciata resta questa, il PD rischia di implodere e poi sarà inutile dirsi di chi è la responsabilità più grande. In una comunità, le responsabilità si condividono. Eppure, aver visto che i comitati Basta un Sì ora si chiamano “In Cammino, traduzione in italiano di “En Marche!” lancia una brutta ombra su tutta questa discussione: quale è il vero scopo di tutto questo Matteo? Spingere il PD all’ultimo grande sacrificio, all’autodistruzione, e poi lanciare un progetto politico nuovo con tutt’altri simboli, valori, progetti? Evitiamoci tutta questa sceneggiata.

Qualcuno intervenendo ha detto: chi ha più buon senso, ce lo metta. Ecco, usiamo il buon senso: per il partito, per questa comunità, per le nostre elettrici e i nostri elettori e per il Paese.

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