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L’apertura del triennio di commemorazioni a ottant’anni dalla fondazione della Democrazia cristiana indica certamente l’inizio, forse, della fine, dell’ostracismo contro una straordinaria storia di popolo, quella di un partito nazionale che ha rappresentato l’evoluzione di un pensiero, il popolarismo, l’incardinamento in un’idea chiara, quella democratico cristiana, il contrario preciso di quanti, a posteriori, l’hanno voluto ridurre ad accidenti della storia. Il convegno organizzato dal Comitato nazionale per gli ottant’anni della Dc è stato occasione di un interessante dibattito con sul palco, dopo i saluti e l’introduzione del presidente Zecchino, giornalisti, storici e politologi e nessun democristiano: probabilmente una buona scelta. Ciò che ha attirato l’attenzione è una duplice considerazione fatta da Paolo Mieli che, in questo modo, centra il cuore del problema post democristiano, cioè il trentennio triste di una classe dirigente sparpagliatasi per sopravvivere.

L’editorialista del Corriere della Sera, riassumendo, si domanda in sostanza come la Dc non abbia saputo preservarsi/trasformarsi come la Cdu nel momento di massima crisi e come sia stato possibile falsarne la storia come se fosse una strada ineludibile una andata a sinistra fino a scomparirvi.

Sul primo punto è evidente da anni che il paragone fra la democrazia cristiana tedesca e quella italiana è impietoso: di fronte ad una crisi paragonabile di entrambe negli stessi anni la reazione è stata diversa e oggi i tedeschi sono un partito forte e coeso e determinanti nella famiglia politica europea dei popolari mentre gli italiani non ci sono più.

Indubbiamente l’uscita del Ppi dal Partito Popolare Europeo rappresenta in questa storia un errore che l’ha segnata profondamente: chi scrive da giovanissimo dirigente di partito il 29 ottobre 2002 usciva con un articolo su Il Popolo col titolo “La forza degli ideali” per rivendicare la presenza nel Ppe e nell’Internazionale democratico cristiana, purtroppo inascoltato dalle vecchie generazioni che avevano in pugno la decisione (e redarguito da chi decantava il sol dell’avvenire dei partiti unici sedicenti plurali, allora a sinistra ma, si sa il discorso vale anche a destra).

Sulla ricostruzione della storia della Dc e la definizione di una sorta di saga leggendaria dei democristiani, purtroppo va evidenziato che essa ha fatto danni incommensurabili rispetto al miglior pensiero politico di cattolici italiani: Mieli fa riferimento alla linea della così detta sinistra democristiana, o parte di essa, che era tale dentro le correnti del partito, non in senso assoluto che, con la crisi degli anni novanta entra dentro la nefasta narrazione dell’unità delle sinistre come una delle strade della sopravvivenza dirigendosi verso ciò che rimaneva dell’organizzazione comunista (senza considerare la trasformazione di fatto della definizione di “cattolico democratico”, nata in seno alla Dc, in cattolico di sinistra o indipendente di sinistra, definizione comunque già criticata alla fine anche da Mino Martinazzoli).

Ma non è la sola narrazione costruita a posteriori dal sapore giustificatorio: si pensi variamente alla riduzione dei democristiani a meri moderati staccati dalle radici cristiane, a un centrismo ridotto a politica di centro, che appare essenzialmente un calembour, all’idea che possono stare solo in partiti da una certa percentuale in su, al fatto che se era solo un argine anticomunista caduto il muro di Berlino se ne è persa l’utilità, alla trasformazione della costruzione a correnti in partiti in fieri che stavano dentro un contenitore che, sparito, si sono ricollocati, così dimenticando che esisteva un popolo con una comune base valoriale, ecc…

Soprattutto ciò che non viene mai considerato a sufficienza – ed è una delle questioni che ci mossero alla “resistenza popolare” in anni difficilissimi con Alberto Monticone e Gerardo Bianco –  non è solo la nostalgia positiva per il vuoto di un pensiero straordinario rimasto ancora oggi con la fallimentare evoluzione di quest’epoca etichettata come “seconda repubblica” ma il danno fatto in tre direzioni: quella giovanile, avendo impedito la trasmissione del testimone ai giovani cattolici inchiodando un mondo all’entrata e uscita di scena continui dei soliti che però spiegano che la Dc non si può rifare (per loro), quella ecclesiale perché il pensiero popolare e l’idea democratico cristiana sono un frangiflutti contro le colonizzazioni ideologiche infiltrabili nelle comunità e un rimedio contro le fratture tra cattolici impedendo l’uso sballato di nostre battaglia da parte di destra e sinistra e quella europea perché aver assecondato il consolidamento pur precario di un sistema provinciale rispetto alle famiglie politiche europee e polarizzato in maniera barbara si è contribuito a far perdere peso all’Italia in Europa.

Inoltre c’è un dato di fatto che oggi non solo smentisce tali narrazioni e cantori, chiudendo il cerchio della provocazione di Mieli, ma è ancora il progetto popolare e democratico cristiano, ossia l’esistenza delle democrazie cristiane (proviamo a imparare dal Partito Democratico Cristiano della Repubblica di San Marino che ha rivinto le elezioni quest’anno) in Europa, legate al sogno dei padri fondatori De Gasperi, Adenauer, Schuman e la forza attrattiva della casa di esse, che fu costruita col contributo essenziale della Dc italiana, il PPE, vincete e determinante e che non può non ritrovare tutti a partire dai Popolari italiani che in questi anni hanno conservato la virtù della coerenza.

Allora servono e sono preziosissime le commemorazioni, per quel seppellimento a cui richiama un giovane lo stesso Vangelo per spingersi in avanti, ritrovando lo spirito democristiano riassumibile nel motto di Guizot annotato nel suo diario da Alcide De Gasperi: “Solo dopo una quantità incalcolabile di fatiche, ignorate o perdute in apparenza, dopo che molti nobili cuori hanno ormai ceduto allo scoraggiamento. Solo allora la causa trionfa”.

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Le commemorazioni sugli ottant’anni dalla fondazione della Democrazia cristiana indicano certamente l’inizio, forse, della fine dell’ostracismo contro una straordinaria storia di popolo, quella di un partito nazionale che ha rappresentato l’evoluzione di un pensiero, il popolarismo, l’incardinamento in un’idea chiara, quella democratico cristiana, il contrario preciso di quanti, a posteriori, l’hanno voluto ridurre ad accidenti della storia. L’opinione di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

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