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Il governo italiano ha chiuso in questi giorni un accordo per il controllo dei traffici di migranti dalla Libia, da dove parte la tragica rotta mediterranea (la tratta che ha portato l’aliquota maggiore dei 180mila migranti arrivati nel 2016 in Italia, e che lascia dietro di sé il più alto numero di morti). La controparte di Roma è Tripoli, intesa come “governo internazionalmente riconosciuto”, vale a dire il governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez Serraj. O ancora, il tentativo di rappacificazione tentato dall’Onu con un’intesa del dicembre 2015 e con un insediamento forzato della primavera scorsa che però ancora manca di un avallo definitivo e del controllo di buona parte del Paese (gli si oppongono le strutture politiche e militari dell’Est, e sparuti gruppi fanatici e combattivi nella capitale). Serraj è arrivato giovedì sera a Roma, di rientro da due giorni passati a Bruxelles, in cui ha incassato il sostegno anche della Nato. È un importante passo avanti fatto dall’Italia, ma – secondo alcuni osservatori – ha grandi punti di debolezza e si inquadra in una fase temporale in cui gli italiani in Libia hanno una posizione delicata: dopo la riapertura dell’ambasciata (forse obiettivo anche di un attentato) di inizio gennaio ci sono state proteste a Tripoli, e dalla regione orientale si sono alzati toni molto pesanti che evocano l’occupazione fascista.

LA SITUAZIONE POLITICA NON È STABILE

L’instabilità politica interna in Libia è ancora forte: basta pensare che poche settimane una delle fazioni tripoline che rappresentano l’opposizione meno preoccupante a Serraj ha cercato un colpo di Stato, e mentre si siglava l’accordo a Roma a Tripoli c’erano scontri a fuoco tra le vie cittadine. Quella più preoccupante e minacciosa di opposizioni è invece impersonata da Khalifa Haftar, il generale-politico dell’Est cirenaico che ha le spalle coperte da Russia ed Egitto, gode del controllo di ampie fette di territorio e blocca di fatto il processo politico progettato dalle Nazioni Unite. Martedì s’è diffusa la notizia secondo cui una settantina di miliziani di Haftar sono stati trasferiti in Russia per ricevere cure mediche alla ferite riportate durante gli scontro contro le fazioni islamiste (anche IS) a Bengasi. Tra Mosca e Haftar è stata siglata una collaborazione operativa intanto in ambito medico: l’Italia due settimane fa per rimediare ai toni alzati dalla Cirenaica (“I nipotini di Mussolini” la definizione del portavoce di Haftar) aveva offerto un trattamento simile a quello che l’ospedale militare sta svolgendo a Misurata anche ad Haftar, ma il generale aveva rifiutato.

LE DEBOLEZZE DELL’ACCORDO

Stante la somma delle circostanze il dubbio principale dietro all’accordo Roma-Tripoli sta tutto nelle capacità che avrà Serraj: le istituzioni libiche saranno in grado far rispettare un protocollo di intesa che si basa su principi ineccepibili ma anche su una valutazione ottimistica della situazione? “Riattivando oggi il Trattato di amicizia Italo-libica del 2008, l’Italia rischia la disfatta totale in terra libica” commenta con Formiche.net Nancy Porsia, giornalista freelance e analista che spesso si muove in Libia. Secondo Porsia “intervenire quando le controparti libiche non hanno ancora trovato un equilibrio interno, significa cadere nella trappola delle alleanze trasversali libiche, e quindi per l’Italia perdere qualsiasi credibilità nel paese”. Perché? “Nel paese il Governo designato con la mediazione delle Nazioni Unite non controlla il territorio e le milizie hanno architettato un sistema mafioso che ha già portato la Libia al suo tracollo economico. In tale quadro, i finanziamenti al Consiglio Presidenziale a guida Serraj non possono che andare dispersi nello stesso sistema mafioso, che impedisce di fatto la realizzazione di qualsiasi progetto previsto dallo stesso accordo”.

LA SITUAZIONE IN LIBIA

La corruzione libica ha caratteri endemici che raggiungono anche i gangli del potere e delle istituzioni, dove non c’è da stupirsi di sovrapposizioni tra trafficanti, traffici e controllori. Sullo sfondo un potere politico instabile e con scarso consenso popolare, quello di Serraj, che può contare solo su forze di sicurezza in costruzione, sostanzialmente ancora composte dagli uomini delle milizie politiche che lo stanno sostenendo. Di fatto il “supporto tecnico e logistico” di cui parla il documento di intesa viene già fornito dall’esterno, principalmente dall’Italia, alla Guardia Costiera libica. Ma per esempio: la cosiddetta Forza di deterrenza speciale, un ben armato Swat team della “polizia” che si occupa di terrorismo e anti-immigrazione a Tripoli, non è altro che la milizia locale Rada, i cui uomini rispondono molto più al loro leader Azouz Raouf Kara che a Serraj. Altra complicazione: la situazione economica libica è pessima, e questo è un background che potrebbe portare le persone a non collaborare, anzi, ad utilizzare contatti e ruoli tra i traffici di uomini come via per racimolare denaro.

IL RUOLO DELL’ITALIA E WASHINGTON

La crisi libica è stata uno degli argomenti affrontati nel vertice europeo sull’immigrazione che venerdì s’è tenuto a Malta (l’isola ha forti collegamenti con la Libia), ma è stata oggetto anche dei primi contatti tra la nuova amministrazione americana e il governo italiano. Quattro giorni fa il capo del Pentagono James Mattis ha telefonato alla ministro della Difesa Roberta Pinotti, ringraziando l’Italia per “il ruolo di primo piano” che sta giocando. Attualmente Roma è il principale player alle spalle di Serraj, visto che gli Stati Uniti per il momento non stanno affrontando il dossier con lo stesso trasporto dell’amministrazione precedente. In un altro contatto laterale tra Italia e Usa, il neo segretario di Stato Rex Tillerson, intervistato dalla Stampa, aveva specificato che Washington ha bisogno “dell’esperienza italiana in Libia”. Sabato 4 febbraio c’è stato un altro contatto, ancora più diretto, con una telefonata tra il presidente americano Donald Trump e il premier Paolo Gentiloni, e la Libia è stato uno degli argomenti affrontati. Venerdì è stata annunciata dal governo italiano anche la creazione di un “Fondo per l’Africa”, in cui sono stati stanziati 200 milioni di euro. Serviranno per finanziare quelle attività di sicurezza in Libia, ma anche in Tunisia e Niger, paesi connessi con l’immigrazione mediterranea all’interno dei quali operano già altri paesi europei (oltre che gli Stati Uniti).

(Foto: Governo.it)

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