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“Fra gli euro-celebranti, che magnificano lo status quo e gli euro-sfascisti, che si limitano a una pars destruens senza avanzare proposte, noi proviamo a mettere in campo una posizione terza, di rinegoziazione forte di tutti i trattati europei, che è quella di Direzione Italia, di Raffaele Fitto e dei Conservatori e Riformisti a cui siamo legati in Europa”. Così Daniele Capezzone, deputato del nuovo partito d’ispirazione tatcheriana, ha aperto ieri il convegno “Trattati di Roma: la nostra idea di Europa. Rinegoziare su tutto”, durante il quale è stato presentato un position paper sull’argomento (qui il documento completo). I punti principali? Spingere sull’acceleratore della competizione, in particolare fiscale e tra sistemi alternativi, anziché uniformare tutti gli Stati a una sola risposta omogenea, respingere l’idea del ministro delle Finanze unico europeo e dare una maggiore spinta alla sussidiarietà e quindi alle decisioni prese vicino ai cittadini.

“Mi è molto piaciuto il chiaro riferimento del presidente Mattarella che, durante le celebrazioni, ha parlato di un’Europa che non deve piegarsi su se stessa, che deve avere la forza e il coraggio di riforme forti, a partire dal cambio dei Trattati”, ha detto Raffaele Fitto, leader di Direzione Italia. “Sono proposte che noi in Europa sosteniamo da tempo – ha concluso – e che riteniamo siano un punto di partenza fondamentale per cambiare profondamente questa Europa che rischia di essere sempre più distante dai cittadini”.

 PER RINEGOZIARE I TRATTATI E’ NECESSARIA LA STABILITÀ POLITICA

Ma la conditio sine qua non per attuare queste proposte è la stabilità politica, che in Italia manca e quindi non consente agli investitori di fare piani a medio-lungo termine, secondo Antonio Guglielmi, già capo degli analisti di Mediobanca Securities e ora Head of Equity Markets di Mediobanca. “È difficile pensare di cambiare i trattati europei se non c’è una consapevolezza di sistema, un governo credibile e un piano di lungo termine, non si cambiano i trattati in sei mesi. Probabilmente un governo di grande coalizione, che potrebbe arrivare a breve, aiuterebbe a fare scelte condivise. I numeri e le analisi rilevano che l’Italia è stata la principale vittima dell’ingresso nell’euro e quello che mi preme, da italiano”, ha ammesso Guglielmi, “è che non lo sia anche quando questo euro cosi com’è non sarà più sostenibile. Il tema non è più se ci convenga o no uscire dall’Eurozona, ma essere pronti a reagire a decisioni che altri potranno prendere per noi”.

SE L’EUROZONA SI DISGREGA, L’ITALIA NON HA UN PIANO B

Uno dei nodi cruciali è la questione tempo, continua l’analista: “Non è più il momento di interrogarsi se convenga o no uscire, perché è tardi anche per la cosa che di solito è più conveniente in una prospettiva di uscita – cioè la ridenominazione del debito pubblico – per via di clausole che sono state imposte ai nostri BTP a insaputa dell’Italia. Le nostre analisi ci dicono che lo spazio di manovra che abbiamo su quel versante, non solo è limitato ma anche abbastanza fumoso, perchè c’è una zona grigia di carattere interpretativo-giuridico. Il German Council of Economic Expert vuole introdurre, nell’ambito della rinegoziazione del fiscal compact, alcune clausole con le quali, esplicitamente, ci priveremmo della possibilità di ridenominare quel debito. Dunque, se vincesse Marine Le Pen fra tre mesi, l’Italia non avrebbe un piano B, ed è gravissimo”.

SE L’ITALIA FOSSE UN TITOLO AZIONARIO? AVREBBE BISOGNO DI UNA RICAPITALIZZAZIONE

Cosa sarebbe l’Italia fosse un titolo azionario quotato in borsa? “Sarebbe una storia di ristrutturazione dal potenziale enorme, ma che avrebbe bisogno di un aumento di capitale per poter ripartire. E chiamare un aumento di capitale vuol dire riconoscere la perdita. Molte tesi pro euro hanno un punto debole e cioè che viene ignorato il concetto di stop loss, non è possibile aspettare otto anni prima di vedere un titolo ripartire”.

“LA GERMANIA HA ACCUMULATO UN SURPLUS A SCAPITO DELLE PERIFERIE D’EUROPA”

“Secondo alcune analisi, perché l’euro possa essere un’area valutaria ottimale sostenibile si dovrebbe trasferire circa il 10% del PIL tedesco nella periferia dell’Europa per circa dieci anni. Da quando siamo entrati nella moneta unica, la Germania ha accumulato 2 trillion di avanzo primario, valore vicino al trillion e sette di deficit accumulato nella periferia”. Questo, secondo Guglielmi, sarebbe un vero e proprio trasferimento di ricchezza dalla periferia al cuore dell’Europa. “Auspico che sarà la Germania, quando lo riterrà opportuno, a uscire dall’euro, ma un’organizzazione a zone concentriche può portare a ulteriori cessioni di sovranità e questo Paese ha già dato troppo”.

germania,

Vi racconto miopie e astuzie della Germania su euro, debito e Italia. Parola di Guglielmi (Mediobanca)

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