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Il voto nelle Marche ci trasmette alcune indicazioni politiche – precise e puntuali – che fanno riflettere. Almeno per chi non procede con le categorie del pregiudizio ideologico e del preconcetto personale. E, per fermarsi ad una di queste riflessioni – ovvero, dov’è e chi vota oggi il Centro – l’analisi è semplice e persin disarmante. Partendo, appunto, dal risultato regionale delle Marche.

Dunque, la coalizione di centrodestra ha stravinto, com’era nelle previsioni del resto. Mentre il cosiddetto “campo largo”, “testardamente unitario” come recita con insistenza la segretaria del Pd Schlein, ha miseramente fallito. E questa volta, va pur detto, era realmente un campo largo, anzi larghissimo. Al riguardo, e parlando proprio dov’è oggi e chi vota oggi il Centro, sono sufficienti due sole riflessioni. La prima riflessione è persin troppo semplice da spiegare. E riguarda l’attuale coalizione di sinistra e progressista. E la conferma arriva proprio dal voto marchigiano. E cioè la cosiddetta “casa riformista”, ovvero la simpatica e goliardica operazione politica costruita a tavolino del duo Renzi/Bettini, ha ottenuto nelle Marche un significativo e consistente 1,9%.

La riflessione potrebbe chiudersi qui, come ovvio. Ma, forse, è necessario aggiungere una postilla. Che è questa. Nell’alleanza dell’attuale sinistra – che ricorda molto l’antico “Fronte popolare” di Togliatti del 1948 e la “gioiosa macchina da guerra” occhettiana dell’inizio della seconda repubblica nel 1994 – il voto centrista, moderato e di governo è sostanzialmente esterno ed estraneo. Per una ragione semplicissima. Il profilo politico, ideologico, culturale, valoriale e programmatico del “campo largo” è dettato da quattro protagonisti principali se non addirittura esclusivi: la sinistra radicale e massimalista di Schlein; la sinistra populista e demagogica dei 5 Stelle; la sinistra estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e il pansindacalismo di Landini. Per gli altri, come si dice in gergo, c’è posto solo in piedi. Appunto, l’1,9% del trio Renzi/Bettini/Onorato e compagnia cantante è un risultato del tutto lusinghiero oltreché realistico. Ogni altro commento, credo, è del tutto superfluo.

Sul versante opposto, invece, la situazione è diversa. Molto diversa. Al di là del populismo sovranista e anti europeo della Lega di Salvini – che esiste ed è inutile negarlo – non si può negare che il partito di centro di quella coalizione, Forza Italia, cresce. Nelle Marche come in Val d’Aosta. E il prossimo voto calabrese, almeno stando ai sondaggi, lo confermerà in misura ancora maggiore. E questo per la semplice ragione che da queste parti – al di là dei giudizi dei vari Gruber, Formigli, Floris, Gramellini, Augias e i giornali del gruppo Gedi, cioè Stampa e Repubblica – la coalizione è molto meno estremista, radicale e massimalista. E la controprova arriva proprio dal voto centrista.

A volte, è tutto molto più semplice di quel che appare. Certo, un elettore su due non ha votato. E continua a non votare, purtroppo. E questo, checchè se ne dica, è un dato oggettivo che non si può e non si deve sottovalutare. E proprio questo massiccio astensionismo giustifica, forse, l’assenza di un’offerta politica specifica, adeguata e pertinente di un progetto centrista e di governo. Certo, non è un progetto che passa attraverso una gentile concessione di qualche parlamentare la strada da perseguire. L’ormai famoso “diritto di tribuna” elargito a Renzi e ai suoi cari dai capi del campo largo. E neanche le infinite prediche astratte e valoriali dei Ruffini di turno sono lo strumento più indicato per intercettare e farsi carico di un progetto politico centrista e di governo.

Su questo versante l’iniziativa di Calenda, forse, è la via più gettonata, nonché più credibile per rappresentare, oggi, realmente e autenticamente, un Centro politico, culturale e programmatico nel nostro Paese. E proprio il voto nelle Marche lo ha, ancora una volta, confermato in modo sufficientemente chiaro ed esaustivo.

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