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Dal dollaro ai cereali, il passo è breve. Dal vertice dei Brics sulle rive del Volga, giunto al suo ultimo giorno, esce un altro jolly con cui la Russia, padrona di casa, tenta l’ennesima spallata all’Occidente e la sua moneta, il dollaro. Se, come raccontato da Formiche.net, il summit dei Paesi che compongono il blocco alternativo e antagonista a quello atlantico si era aperto con la proposta di allestire una piattaforma per i pagamenti e le transazioni, imperniata sullo yuan e in grado di erodere mercato al biglietto verde, adesso il terreno dello scontro diventa quello dell’alimentazione. E c’è una ragione specifica.

Vladimir Putin ha proposto di creare a una borsa comune per alcuni importanti beni alimentari, su tutti i cereali. In altre parole, una piazza di scambio che funga da contraltare a quella di Chicago, il maggiore crocevia d’Occidente dei prezzi relativi alle materie prime agricole. C’è un senso profondo dietro la proposta di Putin. Paesi Brics sono tra i maggiori produttori al mondo di cereali, legumi e semi oleosi. Tanto basta a dotarsi di una piazza propria. In realtà a Oriente ce ne sono già, ma non certo strategiche come quella americana.

A questo proposito, come ha chiarito lo stesso presidente russo, “abbiamo proposto di aprire una borsa dei cereali Brics, pensando a un modello da applicare in futuro allo scambio di altre importanti materie prime come petrolio, gas e metalli. Questa nuova borsa contribuirà alla formazione di indicatori di prezzo equi e prevedibili per i prodotti e le materie prime, considerando il suo ruolo speciale nel garantire la sicurezza alimentare. L’attuazione di questa iniziativa contribuirà a proteggere i mercati nazionali da interferenze esterne negative, speculazioni e tentativi di creare una carenza alimentare artificiale”.

La ratio della mossa è chiara. Ma l’obiettivo della Russia potrebbe essere strizzare l’occhio al Global South, porzione di globo per cui i Paesi Brics intendono porsi da riferimento. Ci sono dei numeri a sostegno di questa tesi. Recentemente, il dipartimento dell’Agricoltura statunitense ha stimato in 52 milioni di tonnellate le esportazioni cerealicole totali della Russia. Si tratta di un nuovo record del Cremlino, dopo il precedente risultato eccezionale, quando nella campagna 2022-2023 gli esportatori agricoli russi avevano venduto all’estero 47,5 milioni di tonnellate di grano.

Che significa? Sia i Paesi africani che quelli del Medio Oriente privilegiano grano russo, chiudendo invece le porte di fronte ai produttori europei. Tanto che, sempre secondo le previsioni stautinitensi, le esportazioni di grano dell’Unione europea nel 2023-24 hanno subito una contrazione fino a 34,5 milioni di tonnellate, ovvero 2 milioni di tonnellate in meno di quanto era stato previsto a marzo. Tutto questo sta a significare che l’Europa sta perdendo colpi nella fornitura di cereali e frumento ai mercati considerati, fino a poco tempo fa, suoi sbocchi tradizionali.

Questo potrebbe aver rinforzato la convinzione al Cremlino che dotarsi di una Borsa cereali formato Brics e a disposizione del Global South, sia una strada quasi obbligata. Come nel caso della guerra in Ucraina, i cereali tornano a essere strumento di forzature geopolitiche e geoeconomiche.

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