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La quotazione di un’altra fetta di capitale (30%) è ancora tutta da decidere, la riserva legale sugli atti giudiziari è in scadenza e la Banca del Mezzogiorno è stata appena ceduta a Invitalia. Cambiamenti che Poste non teme, anzi. Di questo e molto altro è convinto l’amministratore delegato del gruppo Francesco Caio, ascoltato ieri pomeriggio dai senatori della commissione Industria, presieduta da Massimo Mucchetti, per illustrare le mosse future del gruppo. Quelle Poste 2020 con cui competere finalmente a livello internazionale. Molto si capirà dal bilancio 2016, che verrà approvato la prossima settimana. E sul piano di chiusura degli uffici postali nei piccoli comuni, Caio ha detto: “Abbiamo preso un impegno con il Mise per mantenere gli uffici postali nei Comuni sotto i 5 mila abitanti”. Ecco tutti i dettagli sull’audizione.

CAIO E LA LOGICA DEL TUTTI A BORDO

Il numero uno delle Poste ha voluto mettere subito in chiaro un concetto. E cioè che la strategia del gruppo è quella di offrire prodotti e servizi per tutti, dunque il meno complicati possibile. D’altronde se la digitalizzazione avanza è anche vero che non tutti maneggiano con scioltezza tablet e smartphone. Di qui la necessità di una sintesi, abbinando innovazione e praticità. “Abbiamo voluto sviluppare un piano di medio e lungo periodo, con un traguardo al 2020, proprio per i cambiamenti che ci accingiamo a fare. E partiamo da un dato: veniamo da un triennio di crescita, sia di fatturati che di utili. Un triennio in cui anche dopo la quotazione, l’azienda ha mantenuto un livello alto di investimenti”, ha detto Caio. “Adesso però ci siamo dati una missione: quella di portare tutti a bordo e non lasciare indietro nessuno, con prodotti semplici e affidabili per porre tutti nella condizione di poter accedere ai servizi che offriamo ogni giorno”.

STOP ALLA CHIUSURA DEGLI UFFICI

L’evoluzione di Poste passa poi inevitabilmente dalla rete di uffici, che fin dal 2012, quando al timone del gruppo c’era Massimo Sarmi, l’azienda voleva riorganizzare, mediante la chiusura degli sportelli meno redditizi. Caio però, un po’ a sorpresa, ha annunciato che tale piano “sta rallentando per essere quasi fermato”. Dunque, dietrofront sul riassetto della rete? Decisamente sì. Addirittura, si potrebbero salvare anche gli sportelli dei comuni più piccoli. “Abbiamo preso un impegno con il Mise per mantenere gli uffici postali nei Comuni sotto i 5 mila abitanti”, ha spiegato Caio, confermando così le indiscrezioni dei mesi scorsi. Inoltre, “l’attesa media negli uffici postali è calata circa del 20%”.

AMAZON, CROCE O DELIZIA?

C’è però qualcosa che sembra non aver funzionato qualche mese fa, a ridosso del Natale per la precisione. E cioè la partnership con Amazon, che consente a Poste di consegnare i pacchi di un certo taglio, comprati dal gigante dell’e-commerce. Caio nella sua audizione ha voluto vedere il bicchiere mezzo pieno: “Grazie all’accordo di partneriato sviluppato con Amazon, che prevede  l’affidamento ai portalettere della consegna dei pacchi di  minore dimensione, Poste ha registrato un picco natalizio, con la consegna in quattro settimane di più di  quattro milioni di pacchi”. Eppure qualcosa a Natale non ha funzionato, almeno secondo i sindacati. La mole di pacchi ordinati su Amazon ha infatti finito con l’ingolfare i centri di smistamento, creando ritardi nella consegna della corrispondenza ordinaria, ovvero le lettere.

UN DIVIDENDO RICCO

Questione a sé è la politica di distribuzione degli utili da parte del gruppo. Caio ha tenuto a precisare come nel 2014 “abbiamo distribuito 500 milioni di dividendo, nel 2015 250 milioni. Per il 2016 distribuiremo l’80% dell’utile netto”.

GLI ALTRI DOSSIER DI POSTE (E QUEL NO AD ALITALIA)

Prima di passare al capitolo quotazione, ci sono almeno un altro paio di dossier affrontati da Caio nel corso dell’audizione. Il primo riguarda Poste Vita, il ramo assicurativo del gruppo. Attraverso il quale Poste si prepara a massicci investimenti nell’economia reale. “Poste Vita intende investire fino a 7 miliardi di euro per progetti che muovono l’economia reale del Paese, con il finanziamento di grandi progetti infrastrutturali”, ha spiegato il manager, ex capo dell’agenda digitale. L’altra questione, prende il nome di Anima, la sgr di cui Poste detiene il 10%. Il gruppo non ha dubbi, vuole salire: “Abbiamo semplificato il portafoglio delle partecipazioni e investito in Anima Sgr per il settore delle assicurazioni e risparmio e vogliamo salire dal 10% a qualcosa di più, siamo già in negoziazione e discussione con loro”. C’è anche Alitalia, all’ennesima crisi industriale nello spazio di un decennio. Alla domanda se Poste, sottoscrittrice di un aumento da 75 milioni durante la crisi del 2013, investirà di nuovo nella compagnia, la risposta di Caio è stata “no”.

IPO O (NON) IPO?

C’è poi l’interrogativo di fondo. Il Tesoro piazzerà sul mercato un altro 30% del gruppo, come da intenzioni iniziali, oppure farà marcia indietro e studierà soluzioni alternative. La seconda strada, che secondo alcuni rumors prevede la cessione di una quota alla Cdp, già detentrice di un altro 30%, con annessa maxi-cedola da 1 miliardo, sembra piacere al mercato, come dimostra l’exploit di ieri in Borsa di Poste (+4,6%). Ma sull’ipotetico rinvio della seconda Ipo da parte dell’azionista pubblico, Caio ha preferito tenersi sul vago, aumentando le incognite intorno al futuro del capitale di Poste. “Le decisioni sull’evoluzione della struttura del capitale non sono in capo al management ma in capo all’azionista Stato, che quindi valuterà, sta valutando, come e quando e quali sono le modalità per ulteriori eventuali
evoluzioni della compagine azionaria”.

Francesco Caio

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