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C’è un filo rosso che lungo che corre lungo 150 anni di storia bancaria italiana. Il filo dello scandalo, dalla Banca Romana alla banca privata di Michele Sindona, passando per il crack dell’Ambrosiano di Roberto Calvi fino al dramma delle quattro banche nel 2015 e di Mps. E, come sempre accade, passato lo scandalo rimane sempre qualche cono d’ombra da esplorare, in attesa che qualcuno vi accenda la luce. Quel qualcuno è Francesco Savasta, funzionario pubblico in forza alla vigilanza Consob, autore di un saggio sul primo vero fattaccio della finanza italiana, datato 1893: Il processo della Banca Romana, il mistero delle assoluzioni (Fuoco edizioni), scritto in collaborazione con Caterina Zodda e presentato ieri pomeriggio alla Camera, nella Sala del Cenacolo.

40 MILIONI DI BANCONOTE (FALSE)

Il volume, frutto di ricerche presso l’archivio della Camera, racconta un pezzo rilevante della storia italiana, ovvero il più grave processo della storia bancaria e finanziaria italiana, che coinvolse diversi imputati tra cui diversi esponenti di rilievo della classe politica del neonato Regno d’Italia, accusati di collusione negli affari illeciti della Banca Romana, uno dei sei istituti che all’epoca erano abilitati ad emettere moneta circolante in Italia.

SE L’ITALIA E’ RECIDIVA (SULLE BANCHE)

Lo scandalo esplose nel 1892 per via della scoperta di banconote false per 40 milioni di lire, in serie doppia, ed emesse nei tagli delle 50, 200  e 1.000 lire, per un totale di 9 milioni di lire, che determinavano in parte un eccesso di circolazione accertato di circa 25 milioni di lire. In pratica, per coprire ammanchi di cassa e voragini nei bilanci, causate dai prestiti facili all’industria edile romana in piena espansione, l’istituti emise banconote false. A parlare di credito disinvolto sembra di leggere storie dei nostri giorni, eppure i fatti in questione risalgono a oltre un secolo fa. E allora viene da chiedersi se l’Italia sia recidiva negli scandali bancari.

UNO TSUNAMI SULLA POLITICA, MA SENZA COLPEVOLI

Nomi illustri vennero coinvolti in questo scandalo, Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, poi dimessosi, e Francesco Crispi, nonché funzionari di polizia e del ministero dell’Interno, che vennero accusati di aver insabbiato, sottratto e fatti sparire documenti proprio durante le perquisizioni fatte nell’immediatezza dei fatti attestanti la collusione di illustri politici del tempo con i loschi affari dell’istituto. Ma come spesso accade, nonostante i processi, gli attacchi al governo in Parlamento e l’indignazione pubblica, a pagare furono in pochi e il tutto si risolse senza condanne di rilievo, nemmeno per il governatore della banca, Bernardo Tanlongo.

BUONI E CATTIVI

“Chi sono i buoni e i cattivi in questa vicenda?”, si è chiesto l’autore. “I buoni sono sicuramente i magistrati che hanno indagato sullo scandalo, i membri delle commissioni incaricate di portare alla luce i misfatti”, ha spiegato Savasta. “Ma i buoni sono anche i parlamentari che all’epoca si interessarono alla questione della Banca Romana”. E i cattivi? “Sicuramente gli artefici dello scandalo. Ma anche una parte della stampa, come quella romana, che in parte cercò di coprire questa storia”.

LEZIONI DAL PASSATO

Alla presentazione ha preso parte anche il presidente della commissione Finanze, Maurizio Bernardo. Che ha colto l’occasione per rivendicare l’importanza dell’educazione finanziaria, della quale la commissione Finanze ha promosso una proposta di legge. “Vicende come questa riportano in auge temi fondamentali come l’educazione finanziaria, essenziale al giorno d’oggi per proteggere i propri risparmi. Libri come quello di Savasta sono un utile patrimonio da cui possiamo attingere tutti”.

La lezione (dimenticata?) della Banca Romana

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