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Andrey Karlov era ad Ankara da anni ed era diventato capo missione nel 2013, da quando insomma la Turchia ha iniziato a degenerare irrimediabilmente. È morto ieri sera ad Ankara, freddato da Mevlut Mert Altintas, 22 anni, diplomato alla scuola di polizia nella laica Smirne e che uccidendolo gli ha urlato ‘Voi sparate in Siria e io sparo a voi. Nel nome di Allah non ve lo permetteremo’.

L’ambasciatore russo, come in molti altri Paesi, anche in Turchia è uno degli uomini più importanti e considerati della diplomazia internazionale. E anche uno dei più controllati. Per una macabra ironia della sorte, Altintas, giovane e in borghese, era lì per garantire la sua incolumità, anche se secondo alcuni quotidiani aveva chiesto una giornata di permesso e si sarebbe infiltrato all’ultimo momento, esibendo il tesserino professionale. Di certo c’è che ha sparato, facendo capire una volta per tutte che la Turchia ormai il nemico ce l’ha dentro casa.

Ed è un nemico che assume forme diverse. Ci sono quelli del network di Fethullah Gulen su cui il governo turco vuole scaricare la responsabilità dell’attentato a Karlov e che sembrano diventati il caprio espiatorio per tutto quello che succede nel Paese, soprattutto se può creare confusione e scompiglio. Ci sono i terroristi intransigenti dei Tak, i Falchi per la libertà del Kurdistan, che vedono nella lotta armata l’unica soluzione per risolvere la questione curda. Ci sono gli elementi ultra nazionalisti della società, pronti a prendersela con l’Hdp, il Partito curdo per il popolo demoratico, non appena i separisti colpiscono, e a innescare meccanismi che da qui a breve provocheranno la guerra civile. Ci sono poi gli elementi borderline, che posso diventare mine impazzite, riconducibili alla virata conservatrice e confessionale operata da Erdogan e solo in parte direttamente collebagili allo Stato Islamico. A differnza degli altri, se la Turchia fosse stata meno esuberante e più razionale, questi ultimi non dico che se li sarebbe potuti risparmiare, ma certo non saremmo giunti a questi livelli.

Il killer ha urlato frasi che secondo Cnnturk sarebbero direttamente legate ad al-Nusra. Ma si tratta di parole talmente generiche che potrebbero essere state pronunciate da qualcuno così folle, crudele e invasato da uccidere a sangue freddo. Le indagini sono ancora in corso e da parte di Ankara c’è quasi la volontà di addebidate l’assassinio a Gulen. Tornando nel campo delle ipotesi concrete, è azzardato credere che dietro questo fatto di sangue ci sia lo Stato Islamico in modo ufficiale e strutturato.

Persone come Mevlut Mert Altintas, in questo momento in Turchia, ve ne sono a centinaia. Tutte potenzialmente pronte a colpire, figlie loro malgrado della denegerazione interna del Paese, aggravata in modo inquietante dalla gestione scellerata della crisi siriana.

Negli scorsi giorni sono stati a migliaia i turchi che si sono spontaneamente riversati lungo il confine siriano scandendo slogan religiosi e accusando la Russia di essere la responsabile del massacro di Aleppo. In mezzo c’è di tutto. Elementi borderline pronti a inseguire qualche gruppo jihadista e privati cittadini ubriacati dalla deriva confessionale del paese e che ben ricordano che con le steppe oltre il Mar Nero i rapporti non sono mai stati rosei. Elementi ultranazionalisti e nella contingenza internazionale si ricodano della loro appartenenza religiosa. A furia di richiamarsi all’Impero Ottomano, insomma, Erdogan si è trovato i contrasti a casa propria.

Quello che si sta componendo in Turchia è un vero e proprio mosaico del terrore. Di cui, anche a causa dell’impalpabilità dei fenomeni, si possono servire tutti. Stato Islamico compreso e, nel clima di caos generale, rischia pure di essere credibile.

Il grande sconfitto, su tutta la linea è Recep Tayyip Erdogan, che ormai non è più in grado né di mantenere la sicurezza interna, né di capire concretamente quasi siano le dinamiche in atto negli sterminati territori della Mezzaluna. Un disordine che però gli è strumentale per manterene il giogo interno che poi è la cosa che gli interessa sempre maggiormente.

A Vladimir Putin, per il momento, non resta altro che fare buon viso e cattivo gioco. Che l’alleato fosse instabile dentro e fuori i suoi confini lo sapeva. La morte di Karlov può costringere Mosca e Ankara ad andare avanti ancora più compatte. Oggi Serghei Lavrov incontrerà l’omologo russo Mevlut Cavusoglu. Sul tavolo ci sono il dopo Aleppo e la lotta al terrorismo. Oltre ai dossier economici ed energetici. Anche volendo, adesso, Russia e Turchia non possono litigare.

erdogan

Vi racconto il mosaico del terrore in Turchia

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