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Questa settimana il vice presidente della Commissione europea Frans Timmermans e il vice presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani hanno invitato alcuni leader religiosi d’Europa al meeting annuale sul tema “Migrazione, Integrazione e valori dell’Europa”. Si è trattato del mio secondo incontro con il primo vice presidente della Commissione europea dopo quello dell’anno scorso sul tema dei diritti fondamentali e il ruolo delle religioni nella prevenzione al radicalismo in Europa.

Sempre importante questo confronto tra le istituzioni dell’Unione europea e le autorità religiose d’Europa su temi da non confondere ma da gestire in modo complementare: l’integrazione sociale dei migranti, la libertà del pluralismo religioso nella partecipazione alla cittadinanza democratica, la prevenzione del radicalismo e la sicurezza internazionale nella lotta al terrorismo. Questo ultimo tema era stato affrontato poche settimane fa a Strasburgo nella sede del Consiglio d’Europa.

Da anni la gestione dei migranti e dei rifugiati in Italia viene gestita da associazioni cristiane (Fondazione Migrantes, Caritas, Sant’Egidio, Croce Rossa, Fondazione Astalli) e da organizzazioni di volontariato laiche che si occupano di assistenza legale e burocratica, prima accoglienza (dormire, mangiare, vestire) e cooperazione internazionale (progetti di sviluppo in regioni colpite da povertà e scarsa scolarizzazione).

Il termine “emergenza migranti” si protrae ormai da molti anni rischiando di diventare una condizione stabile ma anche priva di necessari adeguamenti rispetto alle nuove complessità che cambiano il fenomeno a seconda delle situazioni personali, regionali, da zone di conflitto a zone di povertà. Dall’Africa e dall’Asia arrivano in Europa migliaia di persone di differenti culture e religioni. Ciò che forse è importante dire è che la causa principale della loro migrazione verso l’Occidente è la speranza di sopravvivere e fuggire dalla morte, dalla malattia priva di cure, dalla povertà, dall’ingiustizia, dal caos di una terra che non concede speranze di vita e di pace. Il modo con il quale arrivano in Europa è frutto di anni di compromessi e ricatti, solitudine e ostinazione, “a tutti i costi” devono attraversare la terra o il mare, un esodo, una fuga verso la libertà. Per anni questa è la loro religione e la loro cultura. Non c’è più traccia di teologia o di storia o di famiglia, la barbarie della corruzione e della decadenza del potere e della società ha distrutto tutti i valori tradizionali e tutti i riferimenti all’identità di fede, cultura, origine, appartenenza, costringendo molti di questi migranti a fare affidamento solo su se stessi e a nascondere qualsiasi elemento del proprio passato geografico, sentimentale e spirituale.

In Italia, la prima accoglienza, burocratica e di assistenza primaria, funziona grazie alla sensibilità di volontari che dedicano tempo e risorse alla cura e all’attenzione nei confronti di questi bambini e adulti, donne e uomini. Tra i nemici di questi volontari ci sono i perditempo e gli speculatori, persone prive di sana coscienza che si compiacciono di complicare gli aspetti burocratici, giuridici e finanziari per ostacolare il lavoro di assistenza, accoglienza e integrazione o per favorire solo alcune associazioni. Tra questi nemici, sono particolarmente rumorosi alcuni politici presenti in ogni Stato europeo, che urlano per difendere l’identità del popolo autoctono che rischia la contaminazione o la “colonizzazione dei selvaggi stranieri”. Tra le loro grida si riconoscono vane parole come “islamizzazione” o “ghettizzazione”, una difesa dall’invasione dei poveri che rischiano di compromettere l’ideale di benessere civile, frutto di secoli di umanesimo, progresso industriale, modernità, democrazia e globalizzazione economica. Parallelamente, ci sono persone che rischiano di cadere nell’estremismo opposto, quello di ospitare il migrante o sfruttare la loro mano d’opera a basso costo e in lunghi e faticosi turni di lavoro senza necessariamente concedere all’operaio straniero gli stessi diritti di lavoro, residenza, cittadinanza e di dignità delle altre persone. Tra questi nemici, sciacalli ed estremismi, non mancano alcuni ideologi che cercano di sdoganare e accreditare in Europa la corrente rivoluzionaria in opposizione al sistema decaduto del mondo arabo o persino altri che cercano di reclutare futuri guerriglieri di un sedicente “califfato”.

In questo contesto, le comunità religiose, soprattutto cristiane, svolgono un lavoro di grande valore, diventando spesso il punto di appoggio, riparo, conforto, cura della prima generazione di migranti in Italia e in Europa. Le parrocchie e gli oratori ospitano donne e bambini e favoriscono un primo livello di socializzazione e di solidarietà dove i migranti di qualsiasi religione riscoprono proprio quella sensibilità (umanità?) che avevano perso nella loro terra d’origine e nel loro viaggio verso l’Europa.
La Co.Re.Is (Comunità Religiosa Islamica) Italiana, ha avviato da anni una esplorazione della situazione nella quale alcuni rappresentanti sono stati chiamati spesso per funzioni funebri o per assistenza durante il mese di Ramadan o per la gestione di spazi di preghiera rituale. La presenza di ministri di culto musulmani italiani ha aperto nuovi scenari tra i migranti provenienti da regioni di prevalenza islamica. Da un lato, c’è stata la scoperta della libertà religiosa in Europa: è incredibile, si può essere musulmani in Europa! E, da un altro lato, c’è stata la scoperta del pluralismo religioso e della pari dignità di ogni credente nella partecipazione alla cittadinanza democratica. Spesso le nostre guide religiose hanno saputo mediare tra musulmani arabi, africani, bengalesi e pakistani, sunniti e sciiti, evitando che un gruppo rivendicasse la propria autorità o supremazia sugli altri, confondendo il pretesto della propria cultura o scuola teologica con il pretesto di un potere da esercitare. Altre volte abbiamo evitato la confusione pragmatica di carattere nazionale, ad esempio migrante arabo + mediatore arabo, che spesso ha determinato imbarazzi e sfiducia reciproca o inadeguate complicità nel vittimismo. La prospettiva di fondo è quella di concentraci insieme sulla finalità e sul contesto che è quella dell’integrazione nella società europea e non di stimolare rancori o rivendicazioni.

Educazione alla lingua italiana, formazione alla cittadinanza con un approfondimento sui diritti e sui doveri, sulla libertà e il pluralismo religioso e delle opinioni, sulla laicità delle Istituzioni e sull’educazione interculturale, sul dialogo tra le tradizioni filosofiche e la modernità nella famiglia, un orientamento professionale e sul contratto di lavoro sono alcuni dei temi di un percorso di formazione che la Co.Re.Is condivide con alcune associazioni cristiane e organizzazioni laiche in Italia. Si tratta forse di una prima e ancora rara iniziativa interreligiosa e interdisciplinare rivolta all’integrazione dei migranti e dei rifugiati e che vede il concorso di una organizzazione dell’Islam europeo.

Diventa importante e strategico sviluppare una cooperazione interistituzionale tra l’Unione europea, gli esperti e gli operatori del settore e i rappresentanti delle varie comunità religiose per aggiornare le linee guida delle policies sull’integrazione. La creazione di una piattaforma di lavoro interdisciplinare è fortemente auspicabile.

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