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Alla fine ce l’ha fatta Alexander Van der Bellen, l’ex capo dei Verdi. Ha vinto contro il suo avversario, il nazionalpopulista Norbert Hofer, candidato dell’Fpö, 53,3 : 46,4 per cento. La paura che anche l’Austria potesse virare in direzione populista era stata grande in Europa. Pericolo scampato dunque, e così i riflettori della stampa internazionale si spengono, fino alla prossime elezioni e ai prossimi patemi d’animo.

Ma se Van der Bellen ha vinto, non bisogna dimenticare che Hofer ha ottenuto il 46 e passa per cento. Hannes Androsch ex ministro delle Finanze socialdemocratico sotto il cancelliere Bruno Kreisky, ha messo in guardia i partiti della coalizione di governo, cioè quello socialdemocratico (Spö) e quello popolare (Övp), di far finta che questa battaglia elettorale, lunga un anno, non ci sia stata. “E’ vero non siamo diventati i cagnolini di Putin, ma qui bisogna rimboccarsi le maniche”, ha sottolineato Androsch. Il riferimento a Putin non era una battuta.

Uno dei motivi che potrebbe aver portato alla sconfitta di Hofer sono state le dichiarazioni di simpatia verso il presidente russo, così come i viaggi in Serbia e le sue dichiarazioni che avrebbe visto volentieri un avvicinamento dell’Austria al gruppo Visegrad: il gruppo composto da Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia. Il quartetto è tra i più decisi oppositori alla politica di ridistribuzione dei profughi, oltre ad avere a Budapest e Varsavia due governi dai tratti sempre più autoritari. E ancora potrebbe aver giocato a sfavore di Hofer il ricordo dello scandalo Kurt Waldheim, capo di Stato austriaco dal 1986 al 1992 che non venne invitato da nessuna cancelleria né da nessun capo di Stato di peso, per il suo passato nella Wehrmacht, un passato che lui aveva tenuto nascosto per anni. Furono i media americani a tirarlo fuori, ma gli austriaci lo votarono lo stesso. Infine, potrebbe aver spaventato l’intenzione di Hofer di rendere più attivo il ruolo del capo di Stato (con eventualmente anche le dimissioni del governo in carica, opzione prevista dalla costituzione, ma fino a ora mai usata dai presidenti). Così come la possibilità che l’Austria esca dall’Ue. Hofer ha sempre negato questa opzione, lamentando che gli fossero state girate le parole in bocca. Lui sarebbe stato per un referendum solo se la Turchia fosse entrata nell’Ue o se si fosse costituito un governo Ue centrale con l’esautorazione dei parlamenti nazionali. Provocazioni, boutade, che questa volta però si sono trasformati in un boomerang.

Tra coloro che si sono felicitati del risultato c’è stato anche il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni: “La vittoria di Van der Bellen in Austria è davvero una bella notizia per l’Europa”, ha fatto sapere. Nigel Farage, ex leader del partito populista britannico Ukip, già si immaginava di poter da qui a poco festeggiare insieme a Hofer e il capo dell’Fpö Heinz-Christian Strache anche l’uscita dell’Austria dall’Ue.

L’Austria non è un “Naziland”, un paese di nazisti, scrive Armin Thurnher, decano del giornalismo austriaco, nel suo ultimo libro “Ahi ahi Austria”. Certo, è un dato di fatto che il 27 per cento degli austriaci alle ultime politiche abbiano votato Fpö. Thurnher non nega che il nocciolo duro del partito della Libertà difenda un’ideologia di estrema destra, fascista. Ma questo non significa che il 30 per cento degli elettori o il 37 per cento che, secondo i sondaggi, sostiene il partito, sia fascista e di estrema destra. Così come non lo è il 46 per cento di coloro che hanno votato Hofer ora. L’Austria è tra i paesi più ricchi al mondo, con minor diseguaglianza tra le fasce sociali più alte e più basse, “c’è però un profondo scontento per un immobilismo politico oltre alla paura, presente in tutta l’Europa di una perdita del proprio status sociale” annota Thurnher. Paure delle quali i migranti sono solo la punta dell’iceberg, il capro espiatorio usato volentieri anche dai politici che non hanno saputo fare i conti con la globalizzazione, che non hanno saputo indicare nuove vie di crescita e coesione sociale.

Ma già subito dopo l’annuncio della sconfitta di Hofer alcuni politologi tracciavano scenari del futuro prossimo. Un futuro nel quale Hofer non si accontenterà forse più di fare il vicepresidente del Parlamento austriaco. Quel 46 e passa per cento raccolto in questa contesa elettorale potrebbe avergli fatto venire la voglia di giocare un ruolo politico più decisivo. In fondo è lui l’autore del programma politico dell’Fpö. Perché non mettersi allora alla guida del partito per le prossime politiche? Dunque sfidare l’attuale capo della Fpö Strache? E’ vero che fino a oggi i due si sono divisi i ruoli: Hofer l’agnello, Strache il mastino. Ma era una divisione strategica, che Hofer sappia anche azzannare l’ha dimostrato nel rush finale delle presidenziali.

La scadenza naturale della legislatura sarebbe il 2018, ma se la grande coalizione non saprà cogliere il vantaggio che la vittoria di Van der Bellen le ha dato, molti sono pronti a scommettere che gli austriaci saranno chiamati alle urne già l’anno prossimo.

Austria, ecco come Van der Bellen ha battuto Hofer alle presidenziali

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