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L’Alta Corte di Atene ha detto no alla Turchia. Non rispedirà ad Ankara gli otto militari che la notte del fallito golpe, lo scorso 15 luglio, sono atterrati sul suolo ellenico in elicottero per fuggire alla furia del controgolpe del Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan. Ankara li rivoleva indietro per processarli, loro hanno chiesto asilo politico. Ma il Presidente dell’Alta Corte greca, Giorgios Sakkas, ha detto che la mancata estradizione è dettata proprio dal dubbio sulla possibilità di giusto processo nella Mezzaluna.

La Turchia ha spiccato un mandato di arresto internazionale, ma difficilmente il governo Tsipras potrà passare sopra alle decisioni della massima autorità giuridica del Paese e, anzi, il ministro della Giustizia, Stavors Kontonis, ha già detto che non lo farà.

Piacerebbe a molto a tanti pensare che la decisione dei giudici e la reazione del governo greco siano un sussulto di dignità da parte dell’Europa verso un leader politico che da tempo minaccia il Vecchio Continente, cercando di dettare le condizioni di accordi bilaterali e agisce nel suo Paese come se il parere di Bruxelles non avesse alcun valore (immagina purtroppo non così lontana dalla realtà).

Ma prima di esultare per la decisione di Atene, vale la pena di considerare un paio di aspetti.

Grecia e Turchia non sono mai state note per i rapporti pacifici, anzi. Nonostante gli sforzi da entrambe le parti e la politica del buon vicinato che Ankara ha cercato di inaugurare ovunque con risultati disastrosi, le due nazioni hanno almeno due motivi per essere ai ferri corti. Il primo è dato dalla questione migranti. Nonostante l’afflusso sia diminuito a causa dell’accordo stretto da Ankara e Bruxelles, Atene da tempo accusa la Mezzaluna di non pattugliare abbastanza l’Egeo e la frontiera di terra. Ma il nodo più importante riguarda le dispute sulle acque territoriali, che la Turchia continua a invadere perché le calcola in modo diverso rispetto ad Atene e all’Europa e la Grecia che aspettava da tempo un modo per fargliela pagare, soprattutto il ministro della Difesa, Nikos Kammenos, con i cui deputati il premier Alexis Tsipras tiene in piedi una fragile maggioranza e che quindi non può permettersi di andargli contro, ammesso che lo voglia. Il primo ministro ha anche bisogno di spostare altrove l’attenzione dell’opinione pubblica, piegata da otto anni di sacrifici e da una situazione economica che è lontana dal riprendersi e che proprio qualche giorno fa ha promesso al suo popolo di aver detto basta a manovre per fare cassa e ripagare i debitori internazionali.

Sembrerebbe una disputa regionale fra due Paesi in una condizione disperata per motivi diversi. In realtà lo è fino a un certo punto. Sul territorio greco dovrebbe infatti passare il Turkish Stream, il gasdotto delle meraviglie che porterà il gas russo in Europa e nel cui percorso la Turchia dovrebbe avere un ruolo principe. Vladimir Putin è già abbastanza indispettito dai problemi che la Turchia gli sta procurando in Siria con l’opposizione anti Assad e in compenso già due anni fa aveva corteggiato Atene per spostarla dall’influenza europea. Offriva troppo poco denaro e il Premier Tsipras, preso da un impeto di buon senso, decise di rimanere nel club di Bruxelles. Ma certe sinergie possono sempre rinascere e l’ultima cosa che può aiutarle è la Turchia di traverso.

Perché Grecia e Turchia sono di nuovo ai ferri corti

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