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Ha così preannunciato misure per limitare l’ingresso anche degli europei nel Paese che pure essi fondarono. Ha contestato la politica della Merkel troppo conciliante sui migranti. E continua a snobbare i rapporti storicamente stretti con l’Unione europea, criticando pure il ruolo di organizzazioni internazionali finora considerate imprescindibili, quali la Nato e perfino l’Onu. Torna, dunque, d’attualità l’isolazionismo per la nazione più globale della Terra. Paradossalmente, nelle stesse ore il tradizionale Forum mondiale dell’economia che si apre oggi a Davos, in Svizzera, vedrà per la prima volta la partecipazione di Xi Jinping, presidente di un Paese-continente a partito unico chiamato Cina. Arriva il massimo rappresentante della nazione che per un verso spaventa l’Occidente per la sua prorompente ma sregolata carica sui mercati. Ma per l’altro la Cina sembra cercare di aprirsi, provando a liberalizzare la sua immensa potenzialità pur fra enormi contraddizioni e oltre il dirigismo politico che ancora l’imprigiona. La Cina è vicina e l’America è lontana? Comunque il mito della globalizzazione inarrestabile sembra vacillare più a colpi di Trump che di Xi Jinping, che ora sonda in prima persona il mondo economico senza confini per capire in che modo farne parte rilevante.
Resta, invece, invariata, e irraggiungibile, la quota dei ricchissimi tra poverissimi. Secondo l’ultimo rapporto Oxfam, un’organizzazione non governativa britannica che si occupa di economia sociale, otto Paperoni del pianeta hanno la ricchezza equivalente a metà dell’umanità intera. L’1 per cento degli abitanti ha accumulato quanto il restante 99 per cento. In Italia in sette possiedono beni corrispondenti al trenta per cento della popolazione.
Mai il livello di diseguaglianze era stato tanto sproporzionato, mentre Cina e Stati Uniti fanno prove tecniche di grande cambiamento.

(Articolo pubblicato su L’arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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