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Non si dimentica un generale che piange. Ci si immagina che gli ufficiali siano sempre quelli della retorica dell’uomo in divisa, duro e pronto ad affrontare tutte le vicende della vita, soprattutto quelli che negli ultimi decenni sono stati protagonisti della rivoluzionaria riforma delle Forze armate professioniste. E invece no, se muore tuo figlio.

Il generale dell’Esercito Alberto Ficuciello, 76 anni, è morto il 5 novembre nell’ospedale di Udine dopo un malore a una settimana dal tredicesimo anniversario della strage di Nassirya nella quale morì suo figlio Massimo, che era ufficiale di complemento dei Lagunari e che era stato assegnato alla cellula della pubblica informazione della Brigata Sassari. Le vittime della strage furono 12 carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 civili e sabato 12 novembre a Roma si celebrerà la “Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace”. Massimo Ficuciello, due lauree, aveva svolto il servizio militare nei Lagunari, ma a 35 anni aveva deciso di indossare nuovamente la divisa “per fare qualcosa per il suo Paese”, come raccontò suo padre, lasciando per qualche mese il lavoro alla Banca popolare commercio e industria di Milano.

Nel 2004, primo anniversario della strage, Panorama raccolse i ricordi dei parenti di tutte le vittime e il generale Ficuciello all’epoca era consigliere militare di Palazzo Chigi, dopo essere stato addetto militare presso l’Ambasciata d’Italia nel Regno Unito, primo vice comandante del Corpo di reazione rapida del Comando alleato in Europa (Arrc), sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito e alla guida del Comando alleato interforze del Sud e delle Forze operative terrestri dell’Esercito. Ricordando il figlio in quell’occasione, il generale disse che “era un leader, negli studi come nello sport. Il suo era il kendo, la scherma giapponese. In famiglia diciamo: «Massimo dormiva serenamente con principi e barboni». In Inghilterra spesso portava a casa qualcuno perché aveva bisogno di un piatto di pastasciutta”.

L’ennesima testimonianza del significato profondo di tante missioni all’estero sta nel diario che Massimo Ficuciello tenne in quelle settimane in Iraq e il padre ne regalò un pezzetto a Panorama, scritto poche settimane prima della strage e che qui riportiamo:

Ho preso il sorriso di un bambino.

15 ottobre 2003

All’ospedale di Nassiriya è arrivato un bambino raccolto da una pattuglia, aveva una crisi respiratoria perché soffre di asma. Il bambino si chiama Mohamed Yas di 12 anni e ha avuto una visita completa. Poverello. Così impaurito. Cerco di immedesimarmi, ma è troppo difficile. Non so che cosa può voler dire essere portato da gente armata in una tenda, in un campo militare, con tutti gli occhi addosso… Alla fine ha sorriso dopo aver avuto in regalo un pacchetto di caramelle, biscotti e una Coca Cola. L’interprete ha permesso uno scambio di saluti. L’accompagnatore del piccolo, un arabo con problemi motori, si è goduto un bel massaggio. Mi chiedo che avranno mai raccontato al ritorno a casa: sono stati nel futuro? Hanno visto il paradiso? Io ho portato via delle foto, un bel ricordo e un sorriso.

Lette queste righe, il generale Ficuciello non trattenne più le lacrime. Che dopo 12 anni non sono state dimenticate.

In ricordo del generale Alberto Ficuciello

Non si dimentica un generale che piange. Ci si immagina che gli ufficiali siano sempre quelli della retorica dell’uomo in divisa, duro e pronto ad affrontare tutte le vicende della vita, soprattutto quelli che negli ultimi decenni sono stati protagonisti della rivoluzionaria riforma delle Forze armate professioniste. E invece no, se muore tuo figlio. Il generale dell’Esercito Alberto Ficuciello, 76…

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