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Non abbiamo ancora finito di complimentarci con l’Associazione bancaria italiana per aver prima ideato e poi “convinto” la Commissione europea a mantenere e ampliare lo Sme supporting factor, che una nuova minaccia si va addensando sulla testa delle nostre Piccole medie imprese (Pmi). Più in particolare, lo Sme Sf è un fattore di correzione che riduce l’assorbimento di patrimonio a carico delle banche a fronte di prestiti erogati alle piccole medie imprese (dette Sme-Small medium enterprise).

Si tratta, dunque, di un importante sostegno indiretto al mondo imprese. La minaccia, invece, è costituita dalle nuove regole proposte dall’Eba (European banking authority) sugli sconfinamenti continuativi oltre i 90 giorni di privati e imprese (past due).  Da evidenziare, innanzitutto, che il past due è uno status molto delicato per le imprese in quanto costituisce la porta spalancata sul credito deteriorato. Ed entrare nel mondo del credito deteriorato vuol dire, per un’azienda, farsi avviluppare in una ragnatela, sempre più vischiosa, con ovvie conseguenze in termini di futuro accesso al credito. Ciò premesso, il past due rappresenta in Italia solo il 5% del totale del nostro credito deteriorato. Ma questo perché attualmente è previsto che le citate posizioni sconfinate oltre i 90 giorni rientrino nel credito deteriorato (past due conclamato) solo qualora lo sconfinamento superi anche una determinata percentuale dell’esposizione complessiva del debitore. Oggi tale percentuale (detta soglia di materialità) può variare tra il 2% ed il 5% . In Italia è stata fissata al 5%. Da sottolineare, che la nostra scelta di fissare questa soglia al limite superiore non deriva affatto, come vorrebbero i tedeschi, dal solito detto “Italia, pizza, spaghetti e mandolino”. Deriva, piuttosto, dal fatto che il nostro sistema bancario sostiene storicamente un tessuto industriale composto prevalentemente da Pmi e artigiani, che, dopo 9 anni di crisi, sono ovviamente molto esposti a tensioni e sconfinamenti sulle linee di cassa.

Ebbene, a fine 2016, l’Eba ha proposto alla Commissione europea le nuove norme tecniche (Rts) in materia di default. E in quest’ambito ha previsto, tra l’altro, l’abbassamento per tutti i Paesi della citata soglia di materialità all’1%, eventualmente elevabile dall’autorità competente al 2,5%. Qui i problemi sono due. Il primo è che studi dell’Abi hanno ben evidenziato come un abbassamento sotto il 4% della soglia genererebbe pesantissime ripercussioni sia sul nostro sistema bancario sia sulle nostre imprese in quanto una massa di credito in bonis si trasformerebbe in deteriorato. Il secondo è che la citata “autorità competente” non è più la Banca d’Italia (che aveva tarato la soglia al 5%), ma, almeno per le banche più significative, la Bce.  E non è affatto scontato che quest’ultima ci consenta di elevare, considerando le nostre peculiarità, la soglia di materialità sino al 2,5%. Ciò detto, per fortuna, l’Eba ha proposto alla Commissione che l’applicazione della nuova soglia di materialità scatti fra 3 anni (fine 2020).

Tuttavia, bisogna evidenziare che, se questo rinvio temporale ha senz’altro evitato un disastro ecologico, non per questo si può gridare allo scampato pericolo. Infatti, in presenza di un sistema imprese sempre più in affanno, diventa quasi impossibile per banche e imprese ridurre gradualmente le linee in past due in vista della scadenza del 2020. E poi, purtroppo, esiste anche una legge di Murphy che ci ricorda che “dentro ogni grande problema ce ne è uno più piccolo che sta lottando per venir fuori”. In questo caso il problemino che vuole uscire riguarda il calcolo del past due sulle linee di credito delle amministrazioni centrali e regionali. Infatti, attualmente, una direttiva di Banca d’Italia prevede, semplificando, che, sia sufficiente che il debitore pubblico effettui un qualsiasi pagamento su una delle posizioni sconfinate o scadute per sottrarre l’intera esposizione del soggetto alla segnalazione in past due (e quindi al credito deteriorato).

Peccato che, non essendo nulla di tutto questo previsto nelle nuove norme sul default  proposte dall’Eba, il “farmaco salvavita” di Banca d’Italia potrebbe tranquillamente venir meno. E allora mi chiedo: come reagiranno  banche  e  società di factoring quando si troveranno ad anticipare crediti vantati da imprese verso un soggetto pubblico in past due e quindi tecnicamente in default? E, soprattutto, che succederà alle nostre aziende se il canale della cessione dei crediti vantati verso la Pa, notoriamente caratterizzati da tempi di pagamento biblici, si inaridisse o divenisse carissimo? E allora, intervenire urgentemente sull’iter politico delle nuove normative prima che divengano definitive mi appare, più che auspicabile, addirittura doveroso. Il tutto nel tentativo di evitare un improvviso shock settico alle nostre Pmi già da tempo in terapia intensiva.

Andrea Ferretti, Docente al Corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona

ANDREA ENRIA EBA

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