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L’obiettivo finale è l’integrazione perché solo così “in futuro l’Italia sarà più sicura”. Un obiettivo molto arduo da raggiungere e che ha bisogno di tempi lunghi: Marco Minniti, ministro dell’Interno, pur non nascondendo le oggettive difficoltà sul tema dell’immigrazione, ha annunciato la presentazione entro giugno di un Piano nazionale per l’integrazione per regolare tutti coloro che hanno già ottenuto il diritto di asilo: un piano che prevede un intervento socio-lavorativo, assistenza sanitaria, formazione linguistica, ricongiunzione familiare, istruzione e riconoscimento dei titoli di studio. Il ministro ne ha parlato il 22 febbraio nell’audizione alla commissione d’inchiesta della Camera sul sistema di accoglienza e di identificazione ed espulsione, nella quale ha fatto nuovamente il punto come il giorno precedente nell’audizione davanti alla commissione Diritti umani del Senato.

La fotografia del fenomeno sta nei numeri: al 22 febbraio sono arrivati 10.700 migranti, il 35,53 per cento in più dello stesso periodo dell’anno scorso, con un momentaneo lieve calo visto che nei giorni scorsi la percentuale superava il 50; a questo si aggiunge il drammatico dato dei minori non accompagnati che nel 2016 sono stati 25.846, più del doppio del 2015 quando furono 12.360: per i minori sono stati stanziati 170 milioni di euro l’anno per il triennio 2017-2019. A fronte di questo, i ricollocamenti in Europa sono minimi: Minniti ha citato 3.623 persone effettivamente ricollocate e altre 1.022 “definite” rispetto alle 40mila previste. “Cifre piccole – ha commentato –, ma raddoppiate negli ultimi due mesi”, così come ha ricordato il recente accordo con la Germania che ne accoglierà 500 al mese, “non risolutivo, ma un segnale”.

Il problema dei rimpatri, com’è noto, non è rappresentato solo dalla necessità di stipulare un maggior numero di accordi con altri Paesi di provenienza, ma anche dalla necessità che quelle nazioni identifichino l’immigrato che l’Italia vuole rimpatriare e non sempre ciò accade, o comunque non in tempi rapidi. La linea del governo, dunque, resta quella annunciata nei giorni scorsi e compresa nei due decreti legge recentemente approvati: maggiore rapidità nell’esame delle richieste di asilo e istituzione dei Cpr, centri di permanenza per i rimpatri, uno per regione, fuori dai centri urbani e vicino a infrastrutture dei trasporti (stazioni ferroviarie o aeroporti). “In questi giorni c’è un tavolo tecnico tra Viminale e Conferenza delle Regioni” ha spiegato Minniti, proprio per l’identificazione delle aree. Si sa che i Cpr conterranno in tutto 1.600 posti, pochissimi rispetto alle decine di migliaia di immigrati ospitati. La spiegazione sta nella potenziale pericolosità di soggetti che, dopo una lunga permanenza in Italia, possono essersi radicalizzati e dunque vanno tenuti d’occhio prima del rimpatrio.

“Il rischio terrorismo può derivare da una mancata integrazione, come hanno dimostrato i recenti attentati in Europa” ha detto il ministro: ecco, dunque, l’annuncio del Piano nazionale e, dall’altro lato, la conferma dell’enorme problema rappresentato dalla Libia. “Il punto cruciale è il controllo della frontiera sud del Paese, dove passa tutto il traffico di uomini e anche parte del flusso di terroristi”, aveva detto in Senato aggiungendo alla commissione d’inchiesta della Camera che “in Libia in questo momento il traffico di uomini è l’unica industria armata che funziona a pieno regime, senza scrupoli e con disprezzo assoluto della vita umana. Se mi chiedessero Chi è più vicino al male: un terrorista Isis o un trafficante di uomini?, rispondere mi metterebbe in imbarazzo, li considero allo stesso livello. L’azione di contrasto dev’essere un impegno assoluto per la comunità internazionale”.

L’anno scorso l’Italia ha ospitato 176mila immigrati, il 70 per cento in più del 2015, e la gestione del fenomeno deve passare attraverso i Comuni. L’accordo con l’Anci, ha detto Minniti, “è di partecipazione volontaria. Nessuno può obbligare un Comune a partecipare” e oggi sono 2.700 quelli che hanno aderito. Il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha spiegato in audizione al Comitato Schengen che la base dell’accordo col Viminale è una distribuzione equa, per evitare casi-limite come quelli dei comuni veneti di Cona e di Bagnoli dove i prefetti avevano sistemato mille migranti in comunità di tremila abitanti. Decaro condivide la possibilità per i migranti del lavoro volontario in attività di utilità sociale, norma compresa nel recente decreto legge, che invece resta un punto da rivedere: i cittadini italiani accetterebbero molto di più la presenza degli immigrati se li vedessero lavorare proprio perché, come ha detto Minniti alla Camera, “l’immigrazione ha un impatto con gli equilibri della democrazia in Italia”. Ma se quel lavoro, che è solo un tassello del grande mosaico, sarà su base volontaria, il risultato resterà quello di oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

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