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È davvero finito il vecchio progetto stabilito dal trattato Sykes-Picot del 1916. Ankara vuole l’area turcomanna intorno a Idlib, Latakia e Aleppo, per fare da contraltare alla zona curda. D’altra parte, però, deve recuperare, anche per la sua pace interna, l’interscambio economico con la Russia, oggi ridotto a soli 6 milioni di Usd, per via delle sanzioni seguite all’abbattimento del Sukhoi24M, che hanno avuto un impatto negativo anche sul turismo.

Quindi, l’accordo tra Mosca e Ankara è quello per una divisione del Medio Oriente e dell’Asia Centrale. Alla Turchia la possibilità di gestire i nuovi rapporti con le varie comunità di origine turcomanna e ottomana, alla Russia (e all’Iran) la creazione di una grande comunità economica asiatica che dovrebbe sostituire, nei piani, il rapporto simbiotico tra Europa e USA.

In Siria, peraltro, gli Usa e gli europei saranno completamente esclusi da questa nuova intesa, che prevede l’inizio di tale “intesa eurasiatica” proprio dal territorio di Damasco. Recep Tayyip Erdogan l’ha detto e ripetuto al meeting di San Pietroburgo con Vladimir Putin, ripetendo una sua ipotesi del 2013: la Turchia potrebbe essere pronta a far cadere la richiesta di far parte dell’Ue se gli fosse data la possibilità di entrare nelle istituzioni eurasiatiche e, in particolare, nellaShangai Cooperation Organization.

Nulla peraltro vieta che Ankara possa uscire, in futuro, anche dalla Nato, se e fino a quanto l’attrazione del sistema eurasiatico dovesse divenire irresistibile. Ma non bisogna nemmeno dimenticare che l’export turco è ancora oggi per il 44 per cento verso l’UE, ridicolo nano strategico, ma solo per il 4 per cento, e anche a causa delle sanzioni, verso Mosca.

Peraltro, non è nemmeno probabile che Ankara possa avere accesso alle tecnologie più evolute tramite la Russia, a parte quelle militari, o che l’apertura verso Mosca possa essere il solo tramite per l’accesso turco ai mercati mondiali.

Non è escluso, però, che la costruzione di una vera e solida unità eurasiatica possa attrarre definitivamente la Turchia verso il progetto russo e cinese dell’autonomia economica e strategica di una nuova e unita Asia Centrale. Qui Ankara sarebbe utilissima, perché fornirebbe il necessario nesso verso il Mediterraneo.

Mosca vuole soprattutto destabilizzare la Nato a Est e la frattura tra la Turchia e l’Alleanza Atlantica è certamente un’occasione da non mancare.

Ankara, poi, non si fida più degli Usa, che ospitano e aiutano Fethullah Gulen, e vuole realizzare il suo neottomano e nazionalista Islam politico, chiudendo la porta sia all’Ue, che non se ne è ancora accorta, sia alla stessa Nato, ormai inutile per il progetto panturanico ed eurasiatico turco.

Ma la Nato è necessaria, ancora, per tenere il rapporto geoeconomico con Ue e Usa, che è valido fino a che Ankara non lo sostituirà con quello verso Russia, Cina, Asia Centrale.

Se vince Donald Trump, il progetto russo di integrazione turca nel proprio sistema geopolitico può continuare, se invece vince Hillary Clinton, ossessionata dal contrasto futuro degli americani con Mosca, la Nato ricomincerà la sua azione in Medio Oriente, ed ecco perché è sommamente utile, per Putin, sedurre Ankara.

Sul piano geoeconomico, la Russia non può più sostenere un sistema dei prezzi petroliferi bassi, che si aggirano intorno ai 40Usd a barile, salvo un aumento maggiore alla fine del 2016, che alcuni analisti prevedono. Ecco perché vuole vendere molto gas all’Europa, tramite la Turchia, e si oppone alle mire militari e jihadiste dei sauditi e dei loro alleati, Usa compresi.

Il jihad, oggi, è quindi un sostituto della guerra economica petrolifera che non si può più fare. Il mondo dell’energia è cambiato: gli Usa non sono più i massimi importatori di petrolio, il prezzo in euro del barile è maggiore di quello in Usd e i 40 Usd a barile sono lo scenario di massima per i decisori moscoviti. Con questo risicato budget i russi devono fare i conti in Medio Oriente e in Siria.

Inoltre, il cheap oil delle nuove esportazioni iraniane, tutte verso Est, favorirebbe, anche sul piano geopolitico, le mire di Mosca in Asia Centrale e il suo potenziale di vendita del gas di Turkish Stream in Europa. Se quindi la Federazione Russa si apre alla Turchia, potrà avere sia l’espansione ad Ovest del suo mercato degli idrocarburi sia il massimo di separazione della Turchia dalla Nato.

Un gioco “win-win” per Mosca che, peraltro, potrebbe finalmente tacitare le tensioni in Siria, che bloccano anche i progetti geopolitici di Ankara. Anche per la Turchia, quindi, si tratta di un gioco “win-win”.

Per Israele, che ha rinnovato recentemente i suoi rapporti con la Turchia e non può più fidarsi appieno della Russia, poiché sostiene l’Iran ed Hezb’ollah in Siria e Libano, il nuovo programma siriano di Putin ed Erdogan può essere utile, mitigando le tensioni sulle alture del Golan e utilizzando il panturanismo di Ankara per la stabilizzazione antijihadista del Medio Oriente.

Ma anche questo è un progetto da verificare in futuro.

Ecco perché la Russia vuole che la Turchia abbandoni la Nato

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