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Una riforma necessaria. Anche utile. Ma coniugata male. E che, a dispetto delle buone intenzioni per cui nasce, può complicare il processo legislativo. Il giudizio di studiosi e costituzionalisti sulla riforma costituzionale oggetto del referendum il prossimo 4 dicembre spesso non è unilaterale.

Il ddl Boschi è stato oggetto di un dibattito (La riforma costituzionale – Profili giuridici e contesto politico) organizzato dall’Università di Teramo e da Roma Tor Vergata nella splendida Sala del Refettorio della Camera dei deputati. Così, per Enzo Cheli, che ha introdotto il dibattito, la riforma ha luci e ombre. Il superamento del bicameralismo paritario, la limitazione della decretazione d’urgenza, il superamento della riforma del Titolo V e l’apertura a nuova forme di referendum, secondo Cheli, sono note positive. Ma a fronte di ciò ecco anche tre aspetti negativi: la struttura e la formazione del nuovo Senato, le diverse articolazioni del procedimento legislativo e la nuova distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni.

Il problema è che al merito della riforma si sono sovrapposti interessi di parte, e questo non è mai un buon punto di partenza per realizzare riforme costituzionali. Per parafrasare Renzi: noi pensavamo fosse la volta buona, ma poi la riforma ha cambiato verso”, osserva Mara Carfagna, chiamata a discutere del ddl Boschi insieme a Mazziotti di Celso (Scelta civica), Roberto Calderoli (Lega), Andrea Toninelli (5 Stelle) e Pierferdinando Casini (Udc). Carfagna respinge l’accusa secondo cui a Forza Italia la riforma piaceva e poi ha cambiato idea per la rottura del Patto del Nazareno e l’elezione di Sergio Mattarella. “Io stessa ho fatto molta fatica a votare il testo in prima lettura, già lì c’erano dei difetti. Nel nostro partito c’era un dibattito in corso che poi è sfociato nel no alle successive votazioni”, spiega. Insomma, se il ddl Boschi fosse piaciuto, secondo l’ex ministra il partito berlusconiano non avrebbe avuto difficoltà a votarlo anche dopo la rottura del patto tra Renzi e il Cavaliere.

Il centrodestra condivideva non solo lo spirito, ma anche il testo, punto per punto, della riforma. La vostra è stata una scelta meramente politica. Così come è politico, ovvero antigovernativo, lo spirito che anima il fronte del No. Siete contro la riforma solo per cacciare Renzi e il suo esecutivo”, ribatte invece Mazziotti.Uno dei temi sollevati è anche la legittimità di questo Parlamento, eletto col Porcellum, a fare le riforme. “Il Parlamento, così come il governo, sono pienamente legittimi”, osserva Casini, altro difensore del ddl, “il problema è un altro: la composizione del Senato. Questa riforma, infatti, è di complicata attuazione: per questo motivo se vincerà il Sì, come mi auguro, subito dopo bisognerà riformare anche i regolamenti parlamentari”.

Fortemente critico, invece, è Roberto Calderoli. “Il Senato come è stato concepito non serve assolutamente a nulla, era meglio abolirlo. Inoltre mi chiedo come faranno sindaci e consiglieri regionale a stare a Roma per tre giorni alla settimana”, sottolinea il leghista noto anche per essere l’autore della legge elettorale del 2005, da lui stesso poi definita “una porcata” (da qui “Porcellum”). “Noi nel 2005 eravamo legittimati a riformare la Costituzione dalla vittoria elettorale e dal fatto che faceva parte del nostro programma di governo”, aggiunge Calderoli. Che poi dà una sua versione del perché non è stato tagliato anche il numero dei deputati: “630 posti a Montecitorio serviranno ad accogliere tutti quei senatori che non potranno più essere candidati a Palazzo Madama” (che invece passa da 315 a 100).

Poi viene tirato in ballo anche l’Italicum. “Dopo il voto bisognerà mettere mano alla legge elettorale”, avverte Carfagna. “L’Italicum è una brutta copia del Porcellum”, dice Calderoli, secondo cui il dato più inquietante è la possibilità che un partito col 20 per cento dei voti vinca le elezioni e si prenda tutto. “Questo argomento è risibile: io non temevo derive autoritarie quando c’era Berlusconi, figuriamoci se le temo adesso”, gli risponde Casini.
Quello che si evince è che nessuno – a parte il grillino Toninelli – boccia la riforma nella sua totalità: anche i suoi detrattori ci trovano almeno un paio di aspetti positivi (sull’abolizione del Cnel, per esempio, sono d’accordo tutti).

Detto questo, le posizioni restano inconciliabili. Anche per la personalizzazione voluta dal premier, che però era difficilmente evitabile. “E’ complicato non pensare al referendum come a un voto pro o contro Renzi”, chiosa Casini. “Sì, ma allora non si doveva fare la riforma costituzionale, che andrebbe discussa e votata nel merito e non con questo carico politico sulla testa”, risponde Carfagna. Una cosa però sembra certa: al di là di come andrà il referendum, i partiti il giorno dopo dovranno sedersi intorno al tavolo per trovare una quadra sulla legge elettorale.

Enzo Cheli

Tutti i No e i Sì al referendum costituzionale

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