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Filippo Facci ha forse esagerato su Libero a prospettare l’eutanasia, che pure è una loro causa storica a favore di chi vuole morire senza sofferenze, come la prospettiva anche politica dei radicali riuniti a congresso. Un congresso per vari motivi davvero “straordinario”. Eppure c’è qualcosa di vero nel paradosso di Facci.

E’ straordinario questo quarantesimo congresso dei radicali perché è il primo dopo la morte di Marco Pannella: il leader che ha saputo rappresentarli, guidarli, incoraggiarli, bastonarli, portarli sull’altare e buttarli nella polvere, e magari riportarli dalla polvere sugli altari, farli alleare con la destra ma anche con la sinistra, far saltare i nervi a Berlusconi e ai comunisti, o post-comunisti o come diavolo debbono essere chiamati ora che Matteo Renzi ne ha rottamato una buona parte e cerca di rottamare prima o dopo anche l’altra.

Straordinario, di questo congresso radicale, è anche il modo in cui è stato convocato: su iniziativa statutaria degli iscritti e non degli organismi dirigenti di solito preposti a questo adempimento. Dirigenti che, se fosse dipeso da loro, ne avrebbero forse fatto volentieri a meno in questo momento.

Straordinaria è la sede in cui il congresso radicale si svolge: nel carcere romano di Rebibbia, dove neppure il fantasioso Pannella aveva mai avuto l’idea -per quanto se ne sappia sinora – di portare i suoi compagni e amici per un’assemblea di partito o movimento, e non solo per le visite che soleva fare ai detenuti in tutte le feste comandate, civili ma anche religiose. Già, perché il diabolico Pannella sapeva essere anche questo: laico e intimamente religioso, tanto da dividersi per simpatie e frequentazioni tra il Dalai Lama e il Papa di turno a Roma.

Straordinaria è la casualità del numero tondo di questo congresso radicale: non trentanovesimo o quarantunesimo, ma quarantesimo. Anche queste sono casualità che contano per un appuntamento del genere.

Straordinaria è la partecipazione, poco importa se come delegato o solo invitato, di un ex come Salvatore Cuffaro: ex democristiano, anche se lui, a dire il vero, si sente ancora tale in servizio permanente effettivo, ma non sarebbe l’unico radicale con doppia tessera, per quanto quella della Dc sia scaduta;  ex governatore della Sicilia; ex, credo, “vasa vasa”, per l’abitudine che aveva di baciare tutti nelle campagne elettorali e nelle visite, incappando magari qualche volta nella persona sbagliata; ex senatore; ex detenuto di Regina Coeli, avendovi scontato la condanna per favoreggiamento aggravato della mafia e rivelazione di segreto d’ufficio. Una condanna resa possibile dalla oculata – si fa per dire – decisione dell’allora capo della Procura di Palermo, l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso, di accusarlo di questi reati minori rispetto a quello più grave ma assai ambiguo e più difficile da dimostrare del solito concorso esterno in associazione mafiosa. Reato, quest’ultimo, che avrebbero voluto contestargli i sostituti di Grasso per rendere ancora più eclatante, secondo le loro abitudini, la già pesante azione penale contro l’imputato eccellente.

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Ma la cosa forse più straordinaria ancora, di questo quarantesimo congresso radicale nella sede blindata di un carcere, è il fatto che le due “anime” in cui gli eredi di Pannella si sono divisi – l’anima di chi vuole tornare a sporcarsi le mani con la politica partecipando alle elezioni con tanto di candidati, com’è avvenuto recentemente sul piano amministrativo a Roma e a Milano, e quella che le mani le vuole sollevare solo in piazza, e ovunque si possa essere visti, per difendere i diritti  civili cari alla storia o alla tradizione radicale, in Italia e altrove – non hanno leader davvero riconoscibili per il grandissimo pubblico esterno al loro mondo. E lo dico con tutto il rispetto che meritano personalmente, per il loro impegno, gli uomini più rappresentativi dei due schieramenti: Marco Cappato e il tesoriere Maurizio Turco.

Trovo sorprendente che il dopo-Marco Pannella non abbia nel mondo radicale il nome e il cognome della persona più nota, più apprezzata, più storica – direi – fuori da quel mondo: Emma Bonino. Anche lei, per carità, più volte strapazzata da Pannella, che non faceva sconti a nessuno, specie a quelli che forse avevano ai suoi occhi il torto di essere cresciuti troppo, ma che pure è l’unica alla quale Marco avesse a suo tempo permesso di dare il proprio nome alle liste radicali. L’unica a salire tanto nei sondaggi di rito per il Quirinale, ogni volta che se ne liberava – scusate l’ossimoro – il trono repubblicano, da impensierire i candidati dei partiti maggiori, che si sono sinora contesi la massima carica dello Stato. E sono stati favoriti dall’elezione parlamentare e non diretta del presidente della Repubblica.

Mi chiedo come e perché nel partito radicale, non mi importa in quale versione, se nazionale o transnazionale, dopo la morte di Marco Pannella non si siano già consegnati mani e piedi ad una donna nota e tosta come Emma: tanto tosta da aver messo in riga anche il cancro che l’ha aggredita. Una donna che ovunque sia andata e qualunque cosa abbia fatto, commissaria europea a Bruxelles o vice presidente del Senato o ministra degli Esteri a Roma, ha lasciato un eccellente ricordo, al netto di qualche critico irriducibile perché, a mio avviso, prevenuto.

Non ho il tempo e il modo di indicarvi le date, ma mi sarebbe piaciuto riproporvi per intero ciò che scrisse qualche mese fa di Emma Bonino ministra degli Esteri su ItaliaOggi il pur esigente direttore Pierluigi Magnaschi, commentando prima la decisione di Matteo Renzi di sostituirla alla Farnesina con Federica Mogherini, e poi di promuovere quest’ultima a quasi ministra degli Esteri dell’Unione Europea: “Alta rappresentante –si dice così- per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.

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Visto che mi trovo, consentitemi un paragone in negativo, che forse apparirà avventato ad alcuni di voi, ma che pure mi sento di fare fra lo scomparso Marco Pannella e Silvio Berlusconi: incapaci l’uno e l’altro, direi addirittura geneticamente incapaci, di pensare davvero ad una loro successione politica. I due del resto si sono tanto assomigliati da accordarsi e da rimanere amici anche quando si sono contrapposti, senza lo scrupolo, da parte di Pannella, di portare l’altro in tribunale, sia pure per cause solo civili, non penali, al solo scopo di portargli via un bel po’ di soldi utili a finanziare il proprio movimento.

Il partito radicale per Pannella è stato personale quanto è stata ed è per Berlusconi Forza Italia, con i pochi benefici e i molti rischi che ciò comporta, non essendo gli uomini notoriamente immortali.

Tutte le straordinarie stranezze del congresso dei Radicali orfani di Marco Pannella

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