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Premessa: non sono un grillino, così come del resto – con profondo orgoglio – non sono “nient’altro”. Uno mai “pro” e per principio “contro”, si chiederà il lettore? Fuochino. Un agnostico nell’urna, allora? Fuocherello. Un politicamente apolide, magari? Ecco, direi che ci siamo, questo è un bel fuoco vivo dal momento che nel vasto mare dell’apolidia mi ci ritrovo e ci sguazzo da una vita, fatti salvi gli antichi cromosomi liberali che hanno tuttavia perduto nel tempo la loro componente liberistica. Succede: invecchiando si può diventare allergici a qualcosa ed è almeno da un decennio che inizio a grattarmi appena mi capita di sentir parlare un “grisagliato” della grande finanza. Ed è una brutta orticaria, ve lo assicuro, perché scaturisce da dentro, da uno stomaco che non riesce più a reggere certa gente e certe cose.

La premessa era doverosa per ciò che sto per dire. Perché in un Paese cronicamente affetto dalla pericolosissima “Sindrome del Derby”, tu non puoi mai affermare nulla di coincidente con una parte politica senza essere accusato – da quelli dell’altra fazione – di esserne sodale su tutta la linea. Si tratta di una patologia grave, molto grave, eppure ignorata dalla medicina ufficiale. Chi ne è affetto, come lo è sempre chi indossa una casacca di parte, non riesce nemmeno a immaginare che qualcuno preferisca girare “nudo”. Non lo capisce, lo sente troppo diverso e di conseguenza ne sospetta. In fondo lo teme. Sì, la “Sindrome del Derby” – o sei di là o sei di qua – è una seria patologia cerebrale, sintomo di una forma di degenerazione non necessariamente senile. Può colpire a ogni età.

Gravissima, questa degenerazione, lo è soprattutto quando colpisce chi vorrebbe fare informazione; uomini e donne che per mestiere dovrebbero essere tutti apolidi, ma che invece…

Ne ho visto un caso sintomatico ascoltando l’altra sera, in un tg nazionale, il modo in cui hanno dato la notizia relativa a un progetto della sindaca grillina di Torino, Chiara Appendino, per promuovere tra i suoi amministrati l’abitudine di una domenica vegana, ovvero senza carne. Non entro nel merito alimentare, dato che anche riguardo al cibo sono un apolide; o meglio, sono un onnivoro che mangia pochissima carne, ma soltanto perché non gli piace, che vive invece di pesce, ma che soprattutto si guarda bene dal condannare gli altri, siano essi vegani o carnivori. Altre due belle schiere, va comunque detto, gravemente affette a loro volta dalla “Sindrome del Derby” e quindi sempre l’una contro l’altra armate, incapaci di farsi ogni giorno un’abbondante dose di cavoli propri. Come se uno, cibandosi di tartare di manzo creasse un danno a chi si nutre invece esclusivamente di zucchini. E viceversa.

Tornando all’idea della sindachessa, appariva chiaro anche a un bambino che la sua iniziativa avesse uno scopo puramente salutistico e di mero indirizzo e auspicio. Questo perché sempre il suddetto bambino sarebbe in grado di comprendere che a nessun sindaco, così come a nessun capo di Stato (non posso giurare tuttavia su Erdogan) verrebbe mai l’idea di imporre una dieta particolare al suo prossimo. Se non altro per la palese impossibilità di controllare ogni domenica, sguinzagliando di casa in casa un ipotetico esercito di Ispettori Gastronomici, che cosa mettono in tavola i bravi torinesi. Una proposta in tal senso sarebbe stata palesemente da ricovero psichiatrico. O, appunto, da Erdogan.

E invece, apriti cielo! Essendo la sindaca Appendino un’esponente del Movimento 5 Stelle, e quindi forza politica malvista dal centrodestra e dall’ex Cavaliere, il suddetto tg (Mediaset) si è diligentemente impegnato a drammatizzare i toni, quasi preconizzando la fine degli allevamenti di Fassona piemontese, la scomparsa del bollito misto dalle tavole (con grave danno indotto anche ai produttori di mostarda e di salsa verde, immagino), nonché la decimazione delle macellerie torinesi con la prevedibile formazione di lunghe code davanti agli uffici di collocamento. Uno spettacolo di giornalismo penoso. Nemmeno una parola per riportare quello che avrebbe detto qualsiasi bravo nutrizionista – se avessero avuto la banale accortezza di interpellarlo – ovvero che anche a tavola in medio stat virtus, nel senso che così come non si vive di sola lattuga è certo che si può morire se si mangia tutti i giorni carne. Neppure un cenno – per dovere di cronaca e di completa informazione – ai dati epidemiologici internazionali che indicano la maggiore o minore incidenza di certi tumori in base a determinate e ripetitive abitudini alimentari, in un senso come nell’altro. Se si escludono le due parole sdrammatizzanti concesse al volo a un assessore che ha cercato di spiegare alla giuliva microfonata di turno il vero senso dell’iniziativa, il servizio è finito lì. Anzi, è finito peggio: con tanto di piatto esplicativo in favore di telecamera e una battuta in rima tra “zucchino” e “spiedino”.

Cali un velo pietoso.

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