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La dichiarazione più sorprendente fra quelle che hanno accompagnato la presentazione del bilancio dello Stato per il 2017 è quella del Presidente del Consiglio che nella conferenza stampa seguita al Consiglio dei Ministri ha dichiarato che l’Italia non va ancora bene e ha aggiunto di essere il primo a non esserne contento. Una dichiarazione di questo genere potrebbe non sorprendere se venisse da un cittadino qualunque, dal rappresentante di una organizzazione professionale, da un sindacalista, da un imprenditore o da un economista. Ciascuno di essi potrebbe avere in mente una politica economica diversa da quella del governo e perciò dichiararsi insoddisfatto. Ma il presidente del Consiglio?

La dichiarazione (peraltro già anticipata qualche settimana fa a commento dei dati sull’economia italiana diffusi dall’Ufficio studi della Confindustria) pone un problema e fa sorgere un interrogativo preciso. Se il capo del governo è insoddisfatto delle prospettive economiche del paese aperte dal bilancio che sottopone al Parlamento, perché non ha predisposto ed apprestato una manovra di politica economica diversa, più ambiziosa, più rispondente alle attese dei cittadini ed anche, ora si apprende, alle sue stesse attese?

Se la risposta (implicita) è che egli ha incontrato sulla sua strada degli ostacoli che hanno impedito di proporre e di mettere in opera una tale politica, forse egli dovrebbe chiarire pubblicamente e apertamente quali ostacoli abbiano impedito o impediscano questa migliore politica. Non ha trovato nel governo, nel collegio dei ministri, la collaborazione necessaria? Se così fosse potrebbe mettere mano alla composizione del gabinetto. Ha trovato sulla sua strada ostacoli da parte delle forze sociali, nei sindacati o fra gli imprenditori? Non si direbbe, ma se è così, andrebbe spiegato di che si tratta, perché il Paese possa valutare le eventuali responsabilità delle forze sociali. Oppure egli intende riferirsi alle difficoltà che l’Europa frappone a una diversa politica di bilancio? Questo è possibile, ma in molte occasioni il Presidente del Consiglio, pur manifestando apertamente la sua avversione alle regole europee, ha dichiarato di volerle rispettare ed ha anche aggiunto, in alcune occasioni, che egli deferisce alle regole europee non per loro stesse, ma nell’interesse “dei nostri figli”, con ciò accennando al fatto che un paese con un debito pubblico come il nostro non può fare di più. Ma se è così, allora non vi sarebbe da dirsi insoddisfatto, ma semmai rassegnato.

In realtà c’è qualcosa di più da dire. Anche riconoscendo i limiti obiettivi posti dall’Europa (che peraltro il Presidente del Consiglio riconosce come propri), forse si sarebbe potuto impostare il bilancio in maniera diversa e più coraggiosa. Eugenio Scalfari per esempio, ha ripetutamente scritto su Repubblica che la manovra doveva prevedere una fortissima riduzione degli oneri sociali che gravano sui costi del lavoro da finanziarsi con un forte prelievo fiscale sui redditi più elevati. Così – dice Scalfari – ripartirebbe l’economia. Possono esservi dubbi sull’efficacia di questa politica, ma questi dubbi non possono essere di natura politica, cioè la preoccupazione per il dissenso che nascerebbe nelle categorie a reddito medio-alto. In ogni caso, varrebbe la pena di sapere se il Governo ha preso in considerazione l’ipotesi e perché l’abbia scartata.

Oppure si poteva pensare ad una politica che concentrasse tutte le risorse nel rilancio degli investimenti pubblici, rinunziando ai vari bonus categoriali – gli 80 euro concessi a destra e a manca. Oppure, se la diagnosi è che sono i consumi a soffrire, allora perché non concentrare gli sforzi sulle aliquote fiscali dei redditi più bassi, eliminando allora le tante facilitazioni previste per settori fra loro disparati e diversi. Perché ad esempio non concentrare nel Mezzogiorno, che ha fame di investimenti pubblici e di posti di lavoro, le possibilità del bilancio 2017?

In sostanza, a una prima lettura delle misure previste, emerge più chiaramente il senso della dichiarazione del Presidente del Consiglio: emerge essenzialmente un senso di rassegnazione del Governo rispetto all’andamento economico generale, con una richiesta all’Europa di poter distribuire ad alcuni gruppi sociali, forse politicamente rilevanti, un po’ risorse per evitare un generalizzarsi del malcontento.

Le ambizioni del 2014 – quelle di cambiare il verso all’Italia – sembrano progressivamente scolorirsi e convertirsi in una preoccupazione consueta nei governi italiani del dopoguerra di non fronteggiare davvero le ragioni di una lunga crisi, ma di cercare di dividere la reazione delle categorie fra quelle che si sentano tutelate e e quelle che invece sentono tutto il peso della crisi. Ma se è così, non basterà l’insoddisfazione manifestata dal Presidente del Consiglio ad evitare che l’insoddisfazione salga, con forza, dal Paese.

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