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L’ultima, in ordine di tempo, è stata Roma Capitale, ma sono alcuni anni, ormai, che anche in Italia si sta diffondendo la pratica del doggy bag, ossia portarsi a casa quello che non si riesce a mangiare o a bere al ristorante, evitando così di sprecare il cibo e le bevande avanzate. C’è anche una proposta di legge, presentata alla Camera dei Deputati lo scorso 11 gennaio, primo firmatario Giandieco Gatta, deputato pugliese di Forza Italia, che prevede l’introduzione “dell’obbligo di consentire l’asporto di cibi e bevande non consumati dal cliente negli esercizi di ristorazione”.

Si rende, cioè, obbligatorio quello che in molti ristoranti già si fa in maniera volontaria. “Gli esercizi di ristorazione sono tenuti a mettere a disposizione dei propri clienti, che ne facciano espressa richiesta, contenitori riutilizzabili e riciclabili che, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, consentano l’asporto dei cibi o delle bevande non consumati sul posto”. Così recita il primo articolo della proposta di legge.

A tutt’oggi questa pratica è normata dalla Legge Gadda del 2016 che prevede la “donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la mitigazione degli sprechi”. dove, per spreco alimentare si intende “l’insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche ovvero per prossimità alla data di scadenza, ancora commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano o animale e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere smaltiti”.

Così, per ridurre gli sprechi alimentari nel settore della ristorazione, “le regioni possono stipulare accordi per promuovere comportamenti responsabili e pratiche virtuose volti a ridurre lo spreco di cibo e per dotare gli operatori della ristorazione di contenitori riutilizzabili, realizzati in materiale riciclabile, idonei a consentire ai clienti l’asporto dei propri cibi in avanzo”. Tutto quindi affidato alla buona volontà degli amministratori locali e degli operatori.
La cultura del doggy bag è diffusa in molti Paesi, soprattutto nell’America del Nord, ma anche in Europa, come in Francia, Spagna e Germania. In Italia è ancora molto limitata, nonostante il sempre crescente interesse da parte dei cittadini verso la sostenibilità ambientale e la lotta allo spreco alimentare. Eppure, la ristorazione assume un ruolo sempre più rilevante nei costumi alimentari degli italiani.

“Oggi, secondo uno studio Confcommercio Fipe e Comieco, il consorzio per il riciclo di carta e cartone, “il 36% della spesa delle famiglie per prodotti alimentari transita fuori casa e il dato più significativo è che, mentre i consumi nella ristorazione hanno ripreso a crescere dopo lo shock pandemico, quelli in casa diminuiscono”. Purtroppo, la consuetudine di portarsi a casa il cibo ordinato e non consumato riguarda solo una piccola parte della clientela (il 15% circa per il cibo e il 12% per il vino). Ma perché gli italiani non lo fanno?

Secondo i gestori per imbarazzo, scomodità e indifferenza. Eppure sono molti i ristoratori (il 43%) che informano i propri clienti della possibilità di portarsi via cibo e bevande non consumate. Anche perché la ristorazione è attrezzata per gestire l’asporto con contenitori adatti alla conservazione degli alimenti. La metà degli italiani dichiara di non riuscire a mangiare tutto quello che ordina. E la metà di questi non porta via ciò che resta nel piatto.
Con il progetto “Rimpiattino”, la versione italiana del doggy bag, promosso da Fipe e Comieco, sono stati distribuiti 24 mila kit a 875 ristoranti di 22 città. “Il settore della ristorazione può rappresentare un canale di promozione importante per la corretta gestione di cibo e vino non consumati attraverso l’adozione di buone pratiche” – ha detto Carlo Montalbetti, direttore generale di Comieco – Per questo, insieme a Fipe, stiamo lavorando per rinnovare la fornitura di circa ventimila Rimpiattini, che i ristoratori potranno richiedere su base volontaria”.

“Tenga il resto” è un progetto contro lo spreco alimentare promosso a fine febbraio da Roma Capitale insieme a Cial, il Consorzio nazionale imballaggi in alluminio, con l’obiettivo di coinvolgere i ristoranti di Roma nelle azioni per ridurre questo spreco. “Quando andiamo al ristorante, portiamo a casa il cibo non consumato” è l’esortazione alla base del progetto che mette a disposizione dei ristoranti della Capitale 300 mila vaschette di alluminio per un totale di mille cinquecento kit composti da 200 vaschette, 100 buste per la consegna del contenitore al cliente e materiale informativo sull’iniziativa.

“In un mondo in cui la sicurezza alimentare non è ancora garantita a tutti lo spreco di cibo risulta oggi essere un paradosso inaccettabile. E’ una questione di vitale importanza sociale ma anche di sostenibilità ambientale: limitare infatti lo sperpero degli alimenti garantisce una riduzione di emissioni di gas serra e una minore pressione sulle risorse naturali”, ha sottolineato Stefano Stellini, direttore comunicazione e relazioni esterne di Cial.

Che lo spreco alimentare sia un fenomeno di proporzioni rilevanti anche in Italia lo dimostrano i dati presentati il mese scorso in occasione della Giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare. In una famiglia media si butta più di mezzo chilo a settimana di cibo; di più al Sud, meno al Nord. Sono soprattutto le famiglie con un reddito basso che vivono nelle grandi città e senza figli. Sprecano meno quelle del ceto medio che vivono nei piccoli centri e che hanno figli. Molto sentito il problema tra gli imprenditori della ristorazione e del commercio: per la metà di loro sarebbe opportuno donare o vendere le eccedenze della giornata e per il 30% offrire la doggy bag con gli avanzi del pasto. Sul lato consumatori il 40% si dice pronto ad acquistare a prezzi scontati le eccedenze o le rimanenze giornaliere dai negozi e dai ristoranti.

Secondo alcune stime, un terzo di tutti gli alimenti prodotti nel mondo, pari a un miliardo e 300 mila tonnellate, va perso o sprecato. I rifiuti alimentari nella sola Unione europea nel 2021 sono stati 130 chili per abitanti. Secondo la FAO, l’Organizzazione della Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, il cibo sprecato in Europa potrebbe nutrire 200 milioni di persone. Con il Green Deal del 2019, l’Unione Europea si è impegnata a dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2030, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: “Entro il 2030 dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura”.

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